La storia della scrittura e ancor più quella della letteratura sembra essere legata a una necessità di stabilire un rapporto quasi stechiometrico tra il numero delle parole, delle righe, delle pagine impiegate e il contenuto che esse dovrebbero veicolare. Non si spiegherebbe altrimenti il fenomeno più diffuso al mondo da quando è nata l’esigenza di comunicare per iscritto: l’ansia della pagina bianca e l’incognita che essa genera nell’animo dello scrivente, “quanto deve essere lungo?”. Possono ancora darne testimonianza coloro che formano le future generazioni e che di continuo si sentono ripetere “prof, quante colonne devo scrivere?”
Sempre gli insegnanti, però, potrebbero rivelarci un dato molto interessante. Sebbene, infatti, l’ansia dello scrivere fino a una certa lunghezza persiste nelle future generazioni, è cambiata completamente la prospettiva. Il problema non è tanto quello di una scrittura sorvegliata per evitare di dire troppo e a sproposito, bensì di dire quel poco che sia sufficiente. E questo è un segno dei tempi, ma soprattutto di un cambiamento espressivo e comunicativo.
Se si volessero rintracciare i prodromi di quella che potremmo definire la “questione della lunghezza/quantità della scrittura dovremmo probabilmente risalire al III secolo a. C. e alla figura di Callimaco di Cirene. A questo autore si deve una delle novità più importanti della letteratura: la brevità. Ovviamente, niente a che fare con il moderno concetto di sinteticità, ma è interessante ricordare che cosa gravita intorno a questo scrittore. La sua attività letteraria fu accompagnata da una contesa letteraria: fu accusato di essere poeta, pensate un po’, “di pochi versi”, perché le sue opere e la sua poetica si contrapponevano all’epica unica e ininterrotta di matrice omerica (l’Iliade e l’Odissea contano circa 15.000 versi ciascuna) per seguire un’epica breve (intorno al migliaio di versi). Callimaco mal sopportava le critiche dei sostenitori delle forme letterarie tradizionali e sosteneva, che , in ogni caso, “la poesia non va misurata con la pertica persiana”, cioè in base all’estensione.
Non è questa la sede in cui soffermarsi sulla portata dell’attività letteraria di Callimaco e sulle conseguenze che anche solo inconsciamente essa ha avuto sulla poesia moderna. Basti considerare che da questo momento letterario si è potuto concepire una modalità di scrittura breve, ma raffinata. Per tornare a considerare l’estensione dell’opera di un qualche valore, perché connaturata al tipo di genere letterario, bisognerà attendere la nascita del romanzo tra il I e il III secolo d. C.
Il romanzo che, dopo l’epoca classica non avrà grande fortuna presso il pubblico, diventa un genere letterario imprescindibile nel XVIII secolo e, addirittura, a partire dalla seconda metà del XIX secolo il genere letterario di maggior successo e interesse, fino ai giorni nostri, dove di nuovo si ripone la questione della lunghezza. Sì, perché come Callimaco ha ridimensionato la lunghezza dei testi poetici, stabilendo che il loro valore non era collegato all’estensione, così la tecnologia, oggi, sta ridimensionando il volume delle opere letterarie e in particolare del romanzo – la redazione si è già occupata delle narrativa moderna con gli articoli Twitter e le nuove forme di scrittura e Writing 3.0 – perché i nuovi supporti di scrittura e lettura (pc, ipad, smartphone, tablet, e-reader), la velocità di internet e l’esigenza di immediatezza e condivisione comunicativa espressa dai social network necessitano di una nuova forma di brevità, davvero essenziale e di impatto. Nasce così il valore della singola parola, che deve dire, e delle singole lettere, talvolta non più di 140, che devono comunicare all’altro e sempre più spesso agli altri in un sistema interattivo e comunicativo di portata planetaria, attraverso sistemi di lettura “meno naturali” della carta e quindi, di necessità, con un tempo di fruizione più basso.
Brevità, pregnanza emozionale, rapidità di lettura sono le esigenze del futuro e non perché la letteratura non abbia tempo, ma perché non esiste più, come fenomeno sociale un tempo intimo di speculazione. Questo tempo si è esternalizzato.
Torna collegata a questa nuova esigenza di scrittura allora, una diatriba antica e un nuovo interrogativo: il futuro della letteratura è nel romanzo breve? Ma soprattutto si può parlare di romanzo breve o di racconto lungo? Probabilmente né dell’uno, né dell’altro.
Il romanzo si distingue dal racconto non solo per la sua lunghezza, ma anche per la maggiore complessità, cioè tempi più lunghi, vicende ed ambienti più elaborati, maggior numero di personaggi. Mentre il racconto ha solitamente estensione minore e un minor numero di vicende e di personaggi.
Il romanzo è un genere della narrativa in prosa, caratterizzato da un testo di una certa estensione; esso ha per oggetto la narrazione delle vicende di uno o più protagonisti su uno sfondo che può essere storico o fantastico. Nel romanzo le relazioni tra le varie vicende tendono a generare la trama principale, accompagnata da quelle secondarie, che talvolta si sviluppano su piani temporali distinti. I personaggi sono molteplici e hanno un’ importanza cruciale, sono i pilastri su cui si fonda la narrazione, vengono descritti in maniera dettagliata, divenendo protagonisti di una storia complessa che spesso si svolge in un lungo arco di tempo.
Il racconto è una composizione narrativa in prosa, relativamente breve. Per quanto riguarda la lunghezza, esso può essere di 1-2 pagine, definito racconto brevissimo o di una decina di pagine, per cui si parla di racconto breve; oltre la trentina si inizia a parlare di racconto lungo, o più frequentemente di un romanzo breve. Proprio a causa delle sue ridotte dimensioni, il racconto richiede un’attenta misura nei dettagli e comporta necessariamente alcune caratteristiche strutturali. Un racconto presenta un’unica trama che ruota attorno a un solo evento principale; presenta e approfondisce pochi personaggi e non sviluppa molti intrecci. Tutto questo è dato dal fatto che un racconto nasce quando si vuol narrare il verificarsi di un evento: è la fotografia di un fatto, realistico o fantasioso, che solitamente viene scritto a fini di semplice divertimento o con intenti allegorici o altro. I personaggi e lo scenario (tempo e luogo) sono ben espressi in poche righe; possono essere presenti dei dialoghi che aiutino a vivacizzare il racconto. Dopo lo svolgimento della storia si ha sempre un finale, inaspettato o meno e talvolta può essere presente il cosiddetto “finale aperto“.
Detto questo, le nuove forme di romanzo breve non sembrano a mio giudizio se non lontane figlie del romanzo breve/racconto lungo, che ha fatto la sua comparsa già negli anni Sessanta – Settanta e per cui è stato pensato un premio letterario ad hoc, il premio Hugo. Basti sbirciare il profilo Facebook di Romanzi brevi per convincersene e soprattutto per capire quanto sterili ormai possano essere le classificazioni in base alla lunghezza – quantità di scrittura che ancora circolano su internet.
Ultima riflessione. Siccome poi la lunghezza della scrittura ha molto a che fare, secondo noi, con l’esigenza comunicativa dell’io, sarebbe interessante comprendere non solo se il romanzo breve/racconto lungo sia una naturale partenogenesi dai generi letterari classici che risponde alle esigenze dei moderni supporti di lettura, ma quanto e soprattutto sia legata a modalità espressive contemporanee che rivelano davvero, come sosteneva Calvino sulla fine degli anni Settanta quanto “la dimensione del tempo sia andata in frantumi” e, di conseguenza, quanto “non possiamo vivere o pensare se non spezzoni di tempo che s’allontanano ognuno lungo una sua traiettoria e subito spariscono”.
Maria Mancusi