Pacemaker, bypass, stent, lentine, ileostomie, apparecchi acustici, dentiere, protesi di chirurgia estetica, occhiali, protesi muscolari, questi e molti altri sono i dispositivi utilizzati per correggere o supplire a errori di funzionamento della macchina-corpo.
Uomini con innesti, non lontani da uomini macchina, che si avvalgono di corpi esterni per migliorare le proprie prestazioni, per correggere, sostituire, potenziare le dotazioni naturali del corpo.
La manipolazione del corpo e l’innesto di elementi artificiali comporta conseguenze positive sulla durata e la qualità della vita. Gli impianti chirurgici installati nel corpo umano, le protesi e gli arti artificiali collegati al sistema nervoso, le estensioni che quotidianamente l’uomo utilizza nella vita ordinaria come i telecomandi, gli smarthphone, i tablet trasformano i corpi umani in cyborg.
Giorno dopo giorno con lo sviluppo delle tecnologie, con i passi da gigante che fa la medicina, con l’uso costante di dispositivi elettronici nella vita ordinaria il rapporto tra uomo e tecnologia si trasforma rendendo meno netto il confine tra l’uomo e la macchina. L’uomo diventa sempre più ibrido.
Pieni di innesti, di protesi per monitorare il battito cardiaco, per respirare, per sentire, per masticare, per guardare, per memorizzare, per fruire di un film, per comunicare, per scrivere, per lavorare… dove si ferma il confine tra l’uomo e la macchina? Quale è il limite tra l’umano e il post umano?
Come si vive senza dentiera, senza apparecchio acustico, senza bypass, senza occhiali? Come si lavora senza computer, senza connessione alla rete?
Estensioni del nostro corpo che in alcuni casi sono essenziali alla nostra sopravvivenza biologica e in altri alla nostra vita sociale e culturale.
Umanoidi per superare le difficoltà di salute umanoidi per fronteggiare la società. Uomini macchina nella vita biologica e sociale.
La letterarura è piena di uomini artificiali: Il Golem di Gustav Meyrink, un robot plasmato dall’argilla e animato da una parola scritta infilata tra i denti, i robot descritti nel dramma R.U.R di Karel Čapek, creature artificiali, che nascono da un procedimento dall’organico e l’inorganico, Frankenstein o il Moderno Prometeo di Mary Shelley che combinando parti di corpo trafugati crea un gigantesco essere vivente dotato di forza sovrumana, di passioni e istinti animali ma privo di un’anima, Eva Futura di Auguste di Villiers de l’Isle-Adam, dove si prefigura la possibilità di ottenere esseri umani artificiali attraverso l’elettricità, L’uomo della sabbia di Ernst T. A. Hoffman, dove l’automa Olimpia, figlia del professor Spalanzani, riesce a incantare il giovane Nathanael.
Affascinati da queste creature e terrorizzati dal loro oscuro potere, così appaiono gli uomini in tutte queste opere letterarie.
Siamo così lontani dalla letteratura? Non siamo forse spaventati dall’idea di trasformare il corpo in una macchina? Eppure non siamo così lontani dal farlo.
Se riflettiamo sulla storia dell’uomo ci accorgiamo che da sempre si avvale della tecnologia per superare le difficoltà imposte dalla natura. In principio c’era la ruota, il fuoco, gli archi, in principio gli strumenti erano esterni al proprio corpo, oggi per superare limiti fisici, malformazioni, questi strumenti si spostano all’interno dell’organismo umano.
L’intenso piacere della tecnica, la tecnica delle macchine, non è più un peccato, ma un aspetto dello stare nel corpo. La macchina non è un quid da animare, adorare e dominare; la macchina siamo noi, i nostri processi, un aspetto della nostra incarnazione. Noi possiamo essere i responsabili delle macchine, loro non ci dominano né ci minacciano; noi siamo i responsabili dei confini, noi siamo loro.
Manifesto cyborg di Donna Haraway
Tonia Zito
Immagine di conzpiracy