Non sono passati ancora tremila anni da quando schiere di aedi, i cantori dei poemi epici dell’antica Grecia, mandavano a memoria un discreto numero di versi e da quando il più noto di questi, Omero ha dato vita alle più grandiose opere letterarie che l’umanità abbia mai conosciuto. Non sono passati ancora tre secoli da quando l’epoca dei lumi ha riaccostato al concetto di conoscenza quello di enciclopedismo. Non sono forse passati ancora trent’anni da quando folte schiere di studenti hanno mandato a memoria formule matematiche, versi, luoghi geografici, cifre.Se la face to face society, in cui la conoscenza era trasmessa oralmente con l’ausilio della memoria, è ormai concettualmente inconcepibile per i nostri tempi, è però storia di ieri che la conoscenza passi attraverso la capacità di memorizzare. Eppure basterebbe un breve pellegrinaggio nell’ex tempio della Memoria, la scuola, per rendersi conto di quanto oggi la conoscenza sia avulsa da ogni pratica di memorizzazione. Il libro, il foglio, il tablet, il pc con tutte le loro parole sono lì, sui banchi, e le menti degli studenti sono vuote. Come se la conoscenza fosse improvvisamente uscita dall’uomo per diventare un oggetto statico da portarsi dietro in versione tascabile.
Che la memoria esca dalle capacità cognitive non è di per sé un male. Quando dall’oralità si è passati alla scrittura le capacità cognitive di memorizzazione hanno subito un significativo cambiamento e la nostra memoria si è gradualmente svuotata di tutto ciò che poteva restare fuori, sulla pagina, e a cui si poteva ri-accedere se la memoria avesse tradito.
E oggi? Oggi la memoria ci tradisce? Nel passaggio dalla scrittura materiale a quella digitale ormai non si impara più, non si legge per imparare e “ritenere dentro”. Forse non si legge nemmeno o si legge distrattamente, al punto tale che le conoscenze stanno diventando qualcosa a cui accedere all’occorrenza, non qualcosa da conquistare come bene permanete.
Sicuramente nella trasformazione vi è un processo fisiologico di snellimento delle informazioni che transitano nei nostri cervelli. Che valore ha oggi passare delle ore a memorizzare fatti che nel giro di pochi minuti possono essere reperite nel web?
Non avulsa da questa impossibilità di identificare la conoscenza come informazione è il proliferare copioso e incessante degli eventi. Il tempo continua a scorrere come sempre, ma è un tempo accelerato in cui la frequenza dei fatti importanti continua a crescere. Questa accelerazione riguarda moltissimi aspetti della vita collettiva dalla produzione di nuovi saperi (in particolar modo lo sviluppo scientifico e tecnologico), alle trasformazioni sociali, ai mercati. Questo significa che l’individuo, da una parte, si trova a rapportarsi con un numero crescente di nuovi saperi/eventi e, dall’altra, deve costantemente rispondere a domande di cui non conosce ancora la risposta o produrre nuovi saperi di cui ancora non dispone al fine di affrontare le nuove situazioni che gli si presentano.
Il termine conoscenza sembra allora destinato a evocare un sapere di grande respiro, che va al di là della semplice informazione, che è in grado di penetrare oltre la superficie delle cose, di stabilire relazioni, di operare astrazioni e di abbracciare la complessità e la molteplicità. Sotto questa luce ben vengano le memorie tascabili di tablet e smartphone.
Bisognerebbe invece chiedersi che cosa ri-entra a colmare il vuoto lasciato. Che cosa e in che modo sedimenta la conoscenza senza la consapevolezza delle informazioni? Se tutto resta esterno a chi conosce, relegato in 10 cmq di tecnologia, in che modo la complessità del mondo verrà colta dal nostro sistema cognitivo? Se la conoscenza passa dalla rielaborazione delle informazioni, che cosa si rielaborerà quando i nostri cervelli saranno privi di informazioni?
E una volta disabituati a rielaborare le proprie conoscenze, che cosa saranno in grado di conoscere?
Maria Mancusi
InKnot edizioni