Attualità Cultura e società

Dietro le quinte delle scuole serali…

Scritto da Maria

C’è sempre un momento in cui una porta si apre per lasciare entrare l’avvenire, perché i sogni non hanno scadenza, perché si ha sempre il potere di cambiare una vita, la nostra, perché si può sopportare tutto ma non un rimpianto, perché si può perdere tutto, ogni giorno, ma non il desiderio di essere soddisfatti di sé.

Lo sanno bene i tanti giovani e meno giovani che, di sera, popolano le aule frequentate al mattino, talvolta, dai loro figli, dai loro fratelli minori, dagli amici del quartiere, dai figli dei colleghi. Riprendere i libri, seduti in un banco, ascoltare, metabolizzare, fare propria una lezione, una materia. Ricominciare dal punto in cui si è interrotto, per l’immaturità di quando si è giovani, per l’impossibilità economica di portare a termine un percorso, per quel senso del destino che a volte deve fare giri contorti prima di portarci dove desideriamo.

Parlare di scuole serali, parlare del loro valore, della fatica che c’è dietro è qualcosa di scomodo in un paese come il nostro dove la cultura troppe volte è vuoto intellettualismo, sopraffazione, manipolazione, strumentalizzazione, erudizione, dove i sacrifici di chi ha il coraggio di mettersi in gioco, tornando sui banchi di scuola, diventano niente di fronte a un politico che in un programma televisivo decide di fare delle serali un sinonimo di scuola di serie B, di cultura svenduta. Il dramma è che la rete conserva memoria, una memoria, ahinoi non selettiva. Provate a digitare “scuole serali” su un qualsiasi motore di ricerca e vi renderete conto di quello che si sta sostenendo in questo articolo.

E invece le scuole serali sono altro e altre umanità.

Vi si incontra Rosa che si è rimessa a studiare perché “l’unico modo che ho”, dice, “per cambiare la mia vita è sapere”, Alessia il cui ritorno a scuola è “una possibilità di riscattare gli sbagli del passato, quasi un risorgere”, ci confida, “della persona che ero e di quella che, crescendo, sono diventata”,  Giorgio che sostiene: “mi sono iscritto al serale ispirato dalle mie figlie  e dal fatto che sentivo mancarmi qualcosa “, Pietro che vuole trovare lavoro, Luca che al contrario vuole cambiarlo, vuole farne uno che gli piace. Si incontrano uomini e donne con un progetto, di più con una speranza. Lo avreste mai detto che un diploma, che una carta possa rappresentare tutto questo?

Guardano queste persone a chi siede dietro la cattedra. Aspettano. Aspettano che gli si sveli un mondo.

Educare gli adulti, educarli a che cosa? Spesso sono loro che educano gli insegnati ad amare il loro lavoro, che restituiscono a questo mestiere il gusto di una vocazione. Allora il rapporto è un confronto alla pari o quasi, e si finisce per affezionarsi in modo particolare, perché tra quei visi c’è chi attende una parola, anche solo una, che possa svelare un mondo, colmare un vuoto, accendere una luce. E quando si chiude la porta, quando l’aula si svuota i versi di Leopardi, il teatro di Pirandello, le parole di Ungaretti, Montale, Quasimodo, le formule matematiche, i suoni di un’altra lingua non sono rimasti mai tra quelle pareti. Li hanno portati con loro, nei loro giorni, nella loro vita, perché vogliono che porti frutto. Non devono. Questi alunni scelgono. Scelgono la scuola, pur se questa non offra il minimo servizio, perché le riconoscono un valore, scelgono il rispetto per i docenti perché sono per loro realizzatori di sogni, scelgono di studiare perché cercano delle risposte e le cercano nel posto giusto.

La domanda rimane: che cosa sceglierà il mondo per loro?

A questa domanda, ogni volta che aprono il registro, pensano i loro insegnanti…

Maria Mancusi

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