Torvo nella notte, con voce acuta di cornacchia, se ne andava il cantautore. Trascinando gobbo la chitarra, burbero borbottando, dall’altrui passo infastidito. Settanta volte sette immenso, sparì nella bufera che già inghiottì l’amico pulcinella e lo prende a cercare con lumino e richiami autoritari. Dall’altra parte della coltre un motteggio gracchiante deride il vecchio amico e i due si incontrano oltre la tempesta.
“Sei vecchio e rugoso” lo deride pulcinella
“Fosti furbo tu…” lo ammonisce il cantautore “che scappasti oltre la nuvola prima che la vecchiaia ti trovasse”.
Rimaniamo al di qua della tempesta. A fissare le nuvole che scorrono fra il Vesuvio e il mare e il Faito. In ogni vicolo il suo passo si è fatto più sicuro, perché ora è impresso su lastroni di pietra lavica e pareti fatiscenti di spagnoleggianti palazzi.
Come passeggiando in un presepe dimenticato in una casa abbandonata, percorriamo bui anfratti e ci sembra di vederlo, sul palco di legno improvvisato, con due lenzuola a far da sipario: è Pulcinella che saltella magro da un’asse ad un’altra. Poco lontano, nel vicolo dirimpetto, su una sedia di legno, ora in ombra e silenziosa, suona la chitarra il cantautore. Quante voci intorno a loro, quante persone nel vicolo.
C’è un inferno personale per i Napoletani, un anfratto buio e asfissiante, fatto di mille occhi che fissano e mani sanguinanti rivolte verso l’alto. I napoletani non vanno all’inferno come tutti gli altri, ma si ammassano l’uno sull’altro nelle viscere della città. E c’è un paradiso tutto loro, nascosto oltre le nuvole che incoronano il Vesuvio. E’ un paradiso terrestre, fatto di luce solare sul mare e risate sguaiate scaldate da un lieve tepore. Più un Valhalla vichingo che un Elisio. Non è però un posto per guerrieri, è per i figli dell’Arte, che si sono meritati quel riposo, quella “pace senza morte” che hanno ricercato per tutta la vita.
Tuona ancora la tempesta che ti ha inghiottito, Pinuccio nostro. Nostro perché come tutti i napoletani, quando ti sei donato all’arte, tu scontroso, tu scugnizzo, tu vicoli e chitarra, ti sei donato a noi. I napoletani si fanno a pezzi e si danno al mondo che se ne prende un pezzettino e se lo nasconde in casa, e se anche non lo volevi, quel frammento te lo nasconde un monaciello, che saltella impunemente fra l’inferno partenopeo e questa città.
Il cantautore e Pulcinella ora sono insieme alle spalle del Vesuvio, scaldati dal sole di mezzorgiorno. Il cantautore si ferma dopo aver lungo camminato, con Pulcinella che ancora gli salta intorno prendendolo in giro, lui lascia cadere la chitarra sul prato, si stende sui gomiti e guarda il mare e sbuffa con la sua voce acuta
“Assafà”
Vittorio Lauro