“I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale”. Scriveva così Italo Calvino in Perché leggere i classici. E di questi tempi dove ‘classico’ pare sinonimo di noia e di antichità le parole dello scrittore sembrano parlare di un valore lontano dalla nostra sensibilità e non sempre condiviso e condivisibile. Schiere accanite e traumatizzate di adulti che hanno dovuto leggere a forza i classici e che vorrebbero con piacere metterli fuori dalla formazione delle future generazioni si scagliano contro queste letture a loro dire inutili. Perché leggere Manzoni, Leopardi, Pascoli, Dante, Montale? E ancora più veementemente, perché leggere Virgilio, Catullo, Orazio o addirittura Omero, Euripide, Saffo?
Non è forse un classico qualcosa con quale e senza il quale il mondo rimane identico?
Quando andiamo avanti con gli anni e alle vecchie amicizie, ai vecchi amori, ne sopraggiungo altri, non possiamo non raccontare al nuovo affetto quello che di noi è stato, perché anche i sentimenti passati sono qualcosa di noi e ci hanno costruiti e cambiati. Ebbene quando un giovane uomo si affaccia alla vita, quella delle esperienze da fare, degli amori da vivere, dei lavori da scegliere, della personalità da auto-plasmare, quella che pone di fronte alla scelta del tipo di persona che si vuole essere, allora leggere i classici diviene un modo per scoprire a che punto è arrivata l’umanità e dove ognuno di noi vorrà spingerla, nel suo piccolo, nella sua esistenza. Leggere un classico allora diventa scoprire in quale tappa del pensiero umano e della sua sensibilità si innesta il nostro essere uomini e donne. I classici ci raccontano il passato e il futuro, perché in essi si ritrova tutta la gamma dei sentimenti, dei quesiti sul senso dell’esistere, della speculazione filosofica. E conoscerli è conoscere se stessi.
Spesso l’ostilità verso i classici parte dalle difficoltà dello stile che fanno inceppare la lettura. In questi e altri casi, invece di rinunciare a essi, sarebbe auspicabile ricorrere a qualche espediente: edizioni semplificate nello stile, talora robusti scorci del Macbeth, di Re Lear, dei Promessi sposi, di Delitto e castigo.
Questa soluzione viene applicata in molti Paesi. Si tratta di una saggia gradazione, di una lenta preparazione della mente e della lingua, che è indispensabile. I quattordicenni e i quindicenni non cercano libri per bambini, vogliono leggere Shakespeare, Stendhal, Tolstoj, Dostoevskij, Kafka: i libri che rivelano tutto quello che essi non sanno e vorrebbero sapere; i testi che illuminano con un lampo le angosce e le felicità del loro misterioso futuro. La sfida semmai è quella di saperglieli comunicare, di accendere in loro il desiderio.
Maria Mancusi
Fotografia di Giuseppe Berardi