Troppo spesso si sottovaluta la qualità degli ambienti di lavoro. Scrivanie malandate, sedie fatiscenti e scomode, documenti alla rinfusa, ambienti disordinati dove gli oggetti sono accatastati senza un briciolo di criterio talvolta caratterizzano i luoghi di lavoro delle piccole imprese.
Sottovalutare la qualità degli ambienti di lavoro significa svilire la dignità delle persone, uccidere la creatività dei lavoratori, rallentare la capacità di produzione, significa percepire i lavoratori non come persone con diritti e doveri ma come meri ingranaggi di una macchina.
Tra le le aziende che puntano sulla cura del dipendente come persona spicca il colosso Google. Le sedi della società americana sparse per il mondo oltre ad un ambiente creativo e stimolante offrono ai dipendenti spazi confortevoli e ludici per permetteregli di rigenerarsi durante la pausa: uno scivolo per passare da un piano all’altro, un tavolo da biliardo per giocare, dei salottini per discutere di progetti personali da sviluppare per l’azienda.
Alcuni studi dimostrano che la produttività è legata all’ambiente lavorativo: maggiori sono i confort e le cure offerte ai dipendenti maggiore è la loro produttività. In ufficio si passa la maggior parte del proprio tempo, un ambiente confortevole, che in qualche modo permetta di sentirsi a casa, aiuta a mantenere la concentrazione e rende meno pesante il carico di lavoro.
Se applichiamo La teoria delle finestre rotte, elaborata dai criminologi James Q. Wilson e George Kelling, all’ambiente lavorativo possiamo avvalorare la nostra ipotesi. La teoria vede la criminalità come un fenomeno contagioso che può iniziare con la semplice rottura di una finestra e diffondersi all’intera comunità. Il degrato urbano e la mancanza di un intervento da parte delle istituzioni influenzano negativamente la percezione di sicurezza dei cittadini: un ambiente degradato in cui nessuno ha interesse a intervenire suggerisce un posto poco sicuro. Se la finestra di un ufficio è rotta, i passanti penseranno che nessuno si occupa di ripararla; presto altre finestre si romperanno e i passanti penseranno non solo che nessuno controlla l’edificio ma anche che nessuno protegge la strada in cui sorge. I cittadini finiranno per percepire quella strada poco sicura e sceglieranno di non percorrerla più.
I criminologi si servono dell’immagine dei vetri rotti per dimostrare che il degrado porta altro degrado e il disordine sociale e fisico genera comportamenti devianti.
L’uomo legge i segnali dell’ambiente in cui vive come segnali di comportamento e tende inconsapevolmente ad adeguarsi ad essi.
La sociologia ci suggerisce che spesso piccoli dettagli possono provocare un atteggiamento di chiusura o apertura nei confronti di una situazione.
Accessori scadenti nel bagno di un ristorante di lusso, scarpe usurate abbinate ad un abito elegante, la maniglia rotta del balcone dell’ufficio, pile di documenti accalcate in ordine sparso, scrivanie mal ridotte, sedie scomode e malandate comunicano realmente chi siamo e come percepiamo il mondo.
Se l’ambiente in cui si lavora è disordinato, poco accogliente, poco curato le conseguenze sulla produzione e sulla qualità del lavoro non potranno che essere negative.
Non è necessario, se non è coerente con vision e mission dell’azienda creare un ambiente design, occorre però disegnare uno spazio dove possano collocarsi i principi e gli obbiettivi su cui si regge l’impresa, uno spazio adeguato e coerente con le finalità societarie.
In un paese dove il tasso di disoccupazione giovanile è alle stelle, dove i giovani per via della precarietà o della invisibilità del lavoro sommerso non hanno possibilità di progettarsi un futuro, una famiglia, dove troppo spesso si sfruttano i sogni e le aspirazioni altrui per raggiungere i propri scopi, dove si vende fumo negli occhi, dove il lavoratore è un semplice strumento di produzione dotato sempre doveri e raramente di diritti perché mai si dovrebbe curare l’ambiente di lavoro?
Non mi soprende che troppo spesso si lavori in uffici ai limiti del fatiscente.
Tonia Zito