Cultura e società

La lingua al tempo dei bisogni

Scritto da Maria

“La parola di un uomo è il più duraturo dei materiali”. Schopenhauer non sapeva quanto si sbagliava! La parola è uno degli elementi più effimeri che la natura abbia messo a disposizione dell’uomo. Ogni giorno, ogni ora, ogni momento, persino quando sogniamo o pensiamo, facciamo ricorso alle strutture della lingua, alle sue parole: articoli, sostantivi, aggettivi, verbi veicolano la comunicazione, i sentimenti, gli stati d’animo, ma cosa ben più importante ci raccontano di noi, ci indicano come pensiamo e in che modo offriamo questo nostro pensare agli altri. Ebbene questo patrimonio non è eterno. Molte parole scompaiono, molte strutture della lingua vengono “dismesse”, perché percepite come inutili, desuete.

I linguisti ritengono il fenomeno assolutamente naturale: i parlanti modificano la lingua, scelgono che cosa di essa sopravviverà perché ha ancora un valore nella “trasmissione di notizie uomo a uomo” e che cosa invece è destinato a morire perché percepito come inadeguato all’espressione comunicativa dei tempi.

Ci sarebbe poco da dire. Forse, al massimo, bisognerebbe rincuorare e invitare alla rassegnazione quanti, anche facendo ricorso ai social network, propongono adozioni di parole che stanno scomparendo o intraprendono campagne a favore della sopravvivenza del congiuntivo. Ah, puristi della lingua! Mettetevi il cuore in pace! Se parlaste con uno solo degli adolescenti di oggi, vi rendereste conto di quanto sia sprecato il vostro tempo. L’80% di essi di fronte alle vostre recriminazioni risponderebbe che il  modo in cui indicate loro di parlare non gli appartiene, non li rappresenta. E avrebbero ragione. Decisamente.

La lingua esprime sempre il pensiero di un’epoca, di una società, molto più di quello che immaginiamo. L’uso dell’articolo è stato fondamentale affinché in Grecia nascesse la filosofia. Come si sarebbero potuti concepire i concetti astratti del bene, della giustizia, del bello in senso assoluto, se non vi fossero state queste insignificanti particelle? Gli aggettivi “bello”, “buono”, “giusto” non sarebbero mai passati a indicare le idee eterne, universali e intangibili che oggi ancora riusciamo a concepire. E la filosofia di Socrate, di Platone, di Aristotele non avrebbe avuto modo di esprimersi, forse nemmeno di svilupparsi, perché la lingua segue le forme del pensiero e trova il modo di esprimerle. I romani stessi si disperarono, perché il latino non permetteva di tradurre il pensiero filosofico greco. A loro mancavano non solo gli articoli, ma tutto il loro lessico era legato alla contingenza, alla materialità, alla quotidianità. Non avevano parole capaci di esprimere l’astrazione della speculazione filosofica. Ma non ci dilunghiamo e veniamo ai nostri giorni.

Facciamo un salto di alcuni secoli. Che cosa si può osservare? Nell’ultimo decennio e sulle bocche delle nuove generazioni, sono scomparsi quasi del tutto i congiuntivi, si fa fatica a ricordare che esista il condizionale, persino il passato remoto, che deve risultare davvero troppo passato, viene sempre meno usato. Per non parlare dell’impoverimento del lessico tra nomi e aggettivi di cui si ignora del tutto l’esistenza. Così per i giovani parlanti un’impresa può essere “pericolosa”, “importante”, ma “ardua”? E che cosa significa “ardua”? Perché questo cambiamento così repentino? Semplice evoluzione della lingua? Probabilmente no. Non solo. Il congiuntivo e il condizionale sono i tempi dell’attesa, del sogno, del desiderio, della visione di se stessi nel futuro. Hanno accompagnato generazioni di uomini e donne che hanno progettato quello che sarebbero stati, che hanno conquistato la loro identità e l’appagamento dei loro bisogni. È chiaro che il congiuntivo, il condizionale siano d’altri tempi, quelli dove era lecito sognare, aspettare, desiderare.

Oggi occorrono poche parole e semplici, un unico tempo: il presente. Il presente di chi non deve attendere, di chi può avere tutto, subito, senza sforzo. Il tempo della pubblicità, della tempesta continua, quasi plagiante, di informazioni che orientano, senza che noi ne abbiamo consapevolezza, le nostre scelte, quelle di vita come quelle commerciali. Volere, potere e fiducia nell’oggi, nell’immediato, in quello che si può comprare.

Uomini che non devono chiedere e che non sanno quello che vogliono, se non c’è qualcuno che induca e istighi la nascita di un bisogno.

False necessità, falsi desideri, ancor più false ambizioni. Falsi perché non spingono alla ricerca, alla teorizzazione, alle ipotesi, al congiuntivo e al condizionale del sillogistico sistema scientifico. Che cosa ne sarà del pensiero umano quando anche l’ultimo congiuntivo sarà sparito? Che cosa saremmo diventati? Un po’ più sterili, un po’ più assuefatti, un po’ più spenti di oggi?

Maria Mancusi

Immagine dicakaire

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