Le recensioni di Connessioni Letterarie
Spesso si sente dire che è inutile studiare la cultura classica, greca o latina che sia. Uno dei principali e più diffusi luoghi comuni è che il mezzo con cui essa è trasmessa, la lingua, è una materia ormai inerte: quante volte abbiamo sentito la frase “il latino è una lingua morta”! Il che, peraltro, è piuttosto falso, dato che la lingua che abitualmente utilizziamo per comunicare ne è una sua naturale evoluzione. Ma se non si studiasse il latino – come il greco – non si potrebbe attingere a un serbatoio di conoscenze, opinioni, insegnamenti e in generale opere d’arte, e di conseguenza sarebbe enorme la perdita di sapere e cultura che ci colpirebbe. Di questo non si rendono conto i critici del latino, forse anche per un’ignoranza di cui possono essere scusati.
Ne è un esempio l’opera di Seneca.
Le parole di un saggio scritte quasi duemila anni fa sono infatti incredibilmente attuali, a conferma del fatto che la natura dell’uomo, in realtà, è cambiata ben poco. Seneca, filosofo stoico vissuto nel I secolo dopo Cristo, affronta, ne’ La brevità della vita – in latino De brevitate vitae – uno dei problemi che più tormentano l’umanità, appunto quanto sia breve il tempo a noi concesso per l’esistenza terrena. Seneca però ribalta la questione: la vita non è breve, è lunga, se solo sappiamo sfruttarne appieno il tempo. Appare breve invece a quanti hanno abitualmente numerosi impegni, che riempiono le loro giornate senza lasciare loro respiro. Seneca dipinge in maniera memorabile i ritratti di questi affaccendati, presi a tal punto dalle loro occupazioni da non avere il tempo di riflettere che, mentre loro si districano tra le faccende, la vita comunque scorre e ad un certo punto dovrà arrivare al termine. Il filosofo arriva a descrivere il caso assurdo di un uomo talmente distratto da sé da chiedere ai propri servitori se si trova seduto o meno.
Solitamente questi uomini rimandano a data da destinarsi e spesso alla vecchiaia, quando cioè saranno liberi almeno dagli impegni istituzionali, il tempo della riflessione, quando ci si dedica più seriamente a sé. Seneca avverte però che farlo soltanto allora è tardivo, si sarà sprecata tutta una vita senza essersi conosciuti nell’intimo, e spesso accade che a quel periodo della vita non ci si arrivi nemmeno. Così succede che molti muoiano non solo senza aver compreso il senso della vita, ma senza neppure saper morire, cosa che non accade a quanti, invece, si sono affidati durante la loro esistenza alle parole dei saggi, che insegnano anche queste cose.
Rimandare il momento della riflessione e della presa di coscienza di sé e del tempo, limitato, che si ha a disposizione è una pratica poco raccomandabile e poco salutare, perché gli impegni verranno sempre anteposti a ogni velleità di pausa di riflessione, costringeranno continuamente a prospettarla al futuro.
L’invito del filosofo è perciò di dedicare fin da subito almeno una parte della propria giornata alla meditazione, meglio se compiuta in compagnia dei sapienti, anche appartenenti a diverse scuole filosofiche, al fine di acquisire una conoscenza quanto più vasta e profonda del mondo in cui si vive e di se stessi. È importante vivere il presente, l’unico tempo che sia realmente a nostra disposizione, affinché quando diverrà passato potremo riappropriarcene in forma di memoria ed utilizzare ciò che abbiamo appreso. Il saggio diventa infatti, secondo Seneca, padrone del tempo: possiede il presente e sa come utilizzarlo, sfrutta il passato come bagaglio di esperienze e non ha paura del futuro. Al contrario gli affaccendati si lasciano sfuggire il presente, di cui non comprendono il valore, non tengono saldamente in mano il passato, anzi non si voltano spesso a considerarlo o perché non ne hanno il tempo o perché se ne vergognano, quando capiscono di averlo sprecato in vane occupazioni, e infine temono il futuro. La vita è per loro continuo tormento, non riescono a godere nemmeno le gioie perché ne comprendono la caducità e si chiedono quando esse arriveranno al termine.
Il breve trattato è scritto in forma di esortazione diretta a Paolino, amico del filosofo, da cui si spiega l’uso, molto efficace, della seconda persona. Lo stile è diretto, si avvale di numerosi esempi, frasi brevi e rapide, ad effetto, ed enumerazioni che hanno il fine di sottolineare l’argomento in questione e provocare l’ascoltatore alla riflessione, portandolo a considerare l’assurdità di alcune situazioni umane o la vastità e varietà del fenomeno dello spreco di tempo nelle diverse occupazioni; stessa funzione hanno anche le molte domande dirette, che rendono lo stupore dell’Autore di fronte allo spettacolo dell’umana miseria.
Attraverso queste parole dirette, questo stile provocatorio, Seneca sembra rivolgersi proprio a noi, uomini del XXI secolo, per fermarci nel trambusto delle nostre vite di corsa, occupate da impegni non così diversi da quelli degli uomini del suo periodo, e renderci coscienti della limitatezza della vita e veri padroni, a pieno diritto, delle nostre esistenze.
Lorenzo Paradiso
Titolo: La brevità della vita
Autore: Seneca
Traduzione e cura di: Alfonso Traina
Anno: 2012
Pagine: 107
Editore: BUR Rizzoli