Mixex by Traam

In Between Days

Scritto da Elettra Bernardo

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Mia nonna era in quella fase avanzata della vecchiaia in cui, dopo anni, si torna a vedere. Difatti era stata da poco operata di cataratta e da quel momento aveva smesso di camminare ogni notte, per tutta la notte, avanti e indietro per i corridoi di casa, in una ricerca senza oggetto che non avevo mai compreso e che aveva la conseguenza di portarla a sbattere, come una trottola impazzita, su ogni porta, mobile, muro del nostro appartamento.
Mi chiedevo, ora che lei si era acquietata, cosa facesse adesso sola nella sua stanza e mi rispondevo che probabilmente, recuperando la vista, aveva finalmente trovato la pace che le permetteva di dormire.
Ed era la pace quella che ogni santa notte cercavo anche io nel mio letto quando nel buio giungeva, dopo un lungo rantolo e con un lamentino dapprima soffocato e poi cristallino, scandito e ad alta voce il mio nome, ripetuto più e più volte fino al mio: «Nenè, che vuoi?»
«Maria…» continuava a chiamare allora mia sorella, «c’è qualcosa sul televisore e ci fissa…».
«No, non c’è nulla, come al solito è solo un’ombra: dormi» le rispondevo , ma sapevo già che il mio invito non sarebbe stato preso in considerazione così, quando l’ennesimo Maria arrivava alle mie orecchie inutilmente tappate con il cuscino, sbuffando mettevo i piedi a terra, accendevo il lume sul comodino e con fare trionfale mostravo, puntando la lampada sul punto prescelto, l’assenza di qualsivoglia entità paranormale nella stanza. Solo allora Nenè si quietava e sprofondava in quei sogni, finalmente a occhi chiusi, che facevano dormire pure me.
Quella sera però sembrava essere meno ragionevole del solito.
«Vedi? Non c’è nulla» le ripetevo.
«No, no! C’erano degli occhi e ci fissavano!»
«Ah sì? E gli occhi di chi?»
«Non lo so ma ho paura».
«Dormi» dissi arrotolandomi di nuovo nel mio piumone.
Era estenuante condividere la stanza con una sorella più piccola di dieci anni e con le sue paure.
Vedeva due occhi mostruosi? Davvero? Non aveva visto quelli del Prof. Carreri, allora. Mancava poco ormai alla fine di quell’anno scolastico e gli esami, vicini, mi tenevano davvero sveglia per il terrore. Andrà tutto bene? Mi chiedevo girandomi sul fianco sinistro. La Facoltà di economia sarà la scelta giusta? Continuavo, rigirandomi sul destro. Seguiva poi il temibile Mi piacerà? In posizione supina e concludevo infine con una giravolta di posizionamento a pancia sotto sul più spaventoso, angosciante, allarmante degli interrogativi: E dopo?

«Maria…» riprese «è là!»
«Nenè, tu lo sai perché la nonna non ci vedeva?»
«Perché è vecchia».
«No, perché non dormiva! Ti ricordi che camminava sempre per i corridoi? E ora che ci vede non lo fa più! E sai perché? Lo sai di chi sono quegli occhi? Te lo dico io: dell’uomo della sabbia!»
Vidi il terrore invadere lo sguardo di mia sorella ma non mi fermai, mi sembrò la giusta punizione per le tante nottate perse a raccontare fiabe e storie nel tentativo di farla e farmi dormire.
«È tutto vero, ti conviene prendere sonno prima che ti faccia venire anche a te le cataratte!»
«Ma sono una bambina, non può!»
«Certo che può. L’uomo della sabbia acceca i bambini che non vogliono dormire e non li fa sognare più, lo sanno tutti.»
«Ma la nonna è vecchia…»
«Quindi è una bambina al contrario»
«Allora dormo…»
«Brava!»
Nenè finalmente si acquietò. Ripresi la mia frenetica danza delle domande notturne e a un tratto mi balenò in mente una risposta che mi infuse del buonumore. Da domani potrai guidare la macchina e andrai un po’ dove ti pare mi dissi. L’indomani infatti, avrei compiuto i miei fatidici diciotto anni.
Sentii che Nenè aveva iniziato a piangere. Feci finta di dormire ma il pianto mi parve così disperato che non riuscii più a ignorarlo, mi alzai, accesi la luce e mi sedetti sul suo letto.
«Non piangere dai, scusa… scherzavo. L’uomo della sabbia non esiste stai tranquilla…»
«Lui c’è, lo vedo appena spegni la luce… ci guarda» rispose soffocando i singhiozzi.
Questa volta avevo fatto proprio un brutto guaio e guardando la faccia disperata della mia sorellina mi sentii male e venne anche a me quasi da piangere.
«Ma io so come fare per farlo andar via» le dissi appena ebbi un’idea.
Nenè mi guardava con la faccia tutta rossa e gli occhi gonfi mentre io, presa da una sferzata di grande energia aprii i cassetti della nostra biancheria e ne lanciai fuori i calzini appallottolati. Scelsi i più colorati e li riversai sul pavimento.
«Vieni, dammi una mano» la esortai, «c’è un modo per bloccarlo!»
«Che vuoi fare?» mi chiese avvicinandosi.
«Costruiremo un bellissimo labirinto che dal mobile della televisione arriverà ai nostri letti così, anche quando non riuscirai a dormire, lui non potrà farti nulla perché non potrà raggiungerti!»
«Davvero?»
«Sicuro.»
Iniziammo a spiegare e a stendere i nostri calzini sul pavimento, creammo mura perimetrali, stradine e sentieri in quel piccolo spazio finché, soddisfatte, tornammo nei nostri letti.
«Sei pronta?» le chiesi mentre allungavo la mano sull’interruttore dell’abat-jour.
«E domani poi? La mamma non vorrà che questi calzini restino a terra» mi disse ancora un po’ spaventata.
«Ma a noi serviva solo creare un incantesimo! Ora il labirinto ci sarà sempre anche senza calzini» le risposi, sperando di trovare una buona soluzione che non mi facesse erigere ogni notte una nuova costruzione.
«Un labirinto invisibile?»
«Esatto! Ma ora dormi è tardi».
«Allora buonanotte…»
«Buonanotte».

Il giorno dopo, mentre facevamo colazione, Nenè mi raccontò di un bel sogno che il labirinto le aveva permesso di fare e io bevvi la mia tazzina di caffè con la tranquillità di chi non si porterà sulla coscienza il peggior trauma infantile della propria sorella.
I festeggiamenti per la mia maggiore età iniziarono subito dopo, quando i miei genitori si presentarono sull’uscio della cucina soffiando aria in due stupide trombette. Solo l’ingresso della nonna e la sua perentoria richiesta di latte e cardioaspirina, diedero un freno alla smodata profusione delle chiacchiere al miele che avevano seguito a quella scena.

«Ecco, questo è per te» mi disse mia madre porgendomi un pacchettino azzurro.
«Da parte mia, di mamma, di nonna e di Nenè » aggiunse mio padre entusiasta.

Dal pacchettino uscì fuori una chiave simile a tutte le altre chiavi delle porte di casa nostra e, lì per lì, non compresi esattamente a cosa dovesse servirmi.
«La tua nuova camera» disse mio padre rispondendo al mio dubbio.
Rimasi per un attimo interdetta, poi finalmente capii.
Dal vecchio sgabuzzino avevano ricavato una stanza per la nonna che, a loro detta, preferiva essere più vicina al bagno e così a me avevano destinato la sua precedente sistemazione, dove ora, ancora avvolti dalla plastica, erano già presenti dei bei mobili nuovi e moderni. Scoprii che Nenè sapeva tutto da giorni e immaginai, sentendo una piccola fitta nelle costole, come doveva essere stato per lei sapere che quella passata era stata l’ultima notte insieme.
Ma il senso di colpa per l’abbandono imminente durò ben poco: tutto divenne euforia e felice mi godetti il mio regalo, portai subito qualche vestito nell’ armadio nuovo e lasciai nel vecchio tutta la mia roba da bambina.
Quando quella notte mi stesi sul mio nuovo materasso, mi tornò di nuovo in mente Nenè. Mi chiedevo se fosse tranquilla, se si fosse addormentata facilmente, se ci fossero occhi a disturbarla. Non sentire il suo respiro nella stanza mi risultava strano, non sentire la sua voce ancora di più.

Un uomo con la faccia verde rana e gli occhi rosso fuoco mi fissava ai piedi del letto. Ero paralizzata, solo il mio cuore riusciva, come un pazzo, a dimenarsi. La stanza era immersa in un buio pesto ma quel volto e soprattutto quegli occhi sembravano essere illuminati di luce propria.
Iniziai a gelare e poi a tremare e infine una vampa di fuoco mi avvolse quando la creatura, avvicinatasi, iniziò a fissarmi negli occhi. Era l’uomo della sabbia? Cosa voleva da me?
Va’ via, va’ via! Cercai di urlargli ma le mie labbra si rifiutavano di muoversi e riuscivo solo a emettere dei lamenti repressi. Sentivo un peso sul petto, qualcosa mi chiudeva la gola. Pensai a mia sorella che dormiva a soli pochi metri da me, protetta dal nostro labirinto.
Riuscii finalmente a svegliarmi. Tremando e con il cuore ancora a mille, scaraventai via le coperte e scappai fuori dalla stanza. Nell’agitazione andai a sbattere prima contro un vecchio tavolino posizionato di fronte alla porta di questa, poi contro la piccola libreria poco distante. Infine raggiunsi la porta della mia vecchia cameretta e la aprii: Nenè, beata, dormiva profondamente. Iniziai a calmarmi. Uno stupido sogno, che sciocca! – pensai. – Ben mi sta, ben mi sta!
Quando richiusi la porta la mia attenzione fu attratta da un movimento poco distante: la nonna, nella sua larga e bianca camicia da notte, vagava come un fantasma nel corridoio poco illuminato. Ero convinta avesse smesso con quella sua bizzarra mania, fui sorpresa; notai che ora era cauta, aggirava con attenzione gli ostacoli sul suo cammino. Quando mi vide si avvicinò.

«Maria, non dormi?»
«Non ci riesco».
Tirò un lungo respiro poi, indicandomi la cassapanca a cui ero vicina, mi disse:
«Sta attenta agli spigoli» e voltandosi si allontanò.

Elettra Bernardo

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