Soffiava la tramontana quel pomeriggio, e sollevava piccoli lembi di sabbia che ricadevano su loro stessi, levigando la spiaggia. Il vento pungente costrinse il vecchio Shusaku a tirare su il cappuccio del suo impermeabile per coprirsi le orecchie, mentre teneva gli occhi fissi sulla lenza che oscillava a destra e a sinistra. Gettò un’occhiata distratta al bordo del secchio metallico ai suoi piedi, dove un paio di piccoli pesci argentati, con le ultime forze che gli erano concesse, facevano ondeggiare disperatamente i loro corpi, e notò che vi si era posato qualche granello di sabbia scura, portata dalla riva. Pan correva tutto intorno, giocherellando con una palla da tennis.
A un certo punto Shusaku vide, alla sua destra, tre piccole sagome farsi sempre più larghe nel suo campo visivo. Avevano oltrepassato le dune di sabbia e, adesso, erano lanciate a gran velocità verso la riva. Tre bambini. Pan ne fiutò immediatamente la presenza, addentò la sua palla e la coda gli si irrigidì tra le gambe, in allerta. Non fu che un attimo però, perché i bambini presero a correre lontano da lui e dal suo padrone. Rassicurato, tornò alle proprie occupazioni gironzolando tra piccoli ciuffi di eringio.
Il vecchio appoggiò la sua canna da pesca su di un piccolo supporto in legno smaltato di bambù che, molti anni prima, gli era stato regalato da sua moglie Sazae in occasione del suo trentacinquesimo compleanno. Era un semplicissimo paletto con un incastro a forma di U che fungeva da sostegno, al centro del quale la maestria di un artigiano aveva intagliato i versi di una poesia di Ikenishi Gonsui a cui Shusaku era molto affezionato: Il vento dell’inverno avrà la sua fine: il mugghio del mare. Ogni volta che contemplava quell’oggetto si sentiva stringere il cuore al pensiero di Sazae, morta in un incidente stradale pochi giorni dopo aver dato alla luce il loro secondo figlio. Era stato molto difficile per lui accettare quella perdita, la più dolorosa della sua vita, e crescere da solo i bambini, oggi entrambi studenti universitari. Shusaku aveva dovuto abituarsi sin da subito al peso della solitudine e, dalla persona socievole e solare che era sempre stata, si trasformò in un uomo schivo, impegnato a proteggere i propri ricordi dall’avanzata inesorabile del tempo.
I tre ragazzi, ignari che il vecchio pescatore li stesse osservando, giocavano a lanciarsi una palla pronunciando ciascuno un nome di città: chi non riusciva a dire il nome completo prima che la palla lo toccasse era costretto a fare penitenza. E così si levavano nel cielo plumbeo di metà pomeriggio alte strida e risate, mescolandosi al rombo sordo delle onde che sbattevano contro i frangiflutti. Un gruppo di gabbiani volava in direzione di un isolotto disperso nella foschia dell’orizzonte.
Il più piccolo dei bambini, Jiro, a cui era sembrato che uno dei due compagni fosse stato distratto da qualcosa, non esitò a lanciargli la palla; ma quello, indovinando perfettamente le sue intenzioni, riuscì a dire «Osaka!» prima di bloccarla con entrambe le mani, e gliela restituì immediatamente con un lanciò che impegnò tutte le sue forze. Jiro, colto alla sprovvista da quel contrattacco, gridò «Kobe!», ma la palla lo colpì prima al ginocchio destro, suscitando il giubilo dell’avversario. – Penitenza, penitenza! –, urlarono in coro i due ragazzi. Jiro raccolse la palla e la scagliò a terra per la rabbia, ma poi fu contagiato dalle risate dei compagni e dichiarò (con scarsa convinzione) di essere pronto ad accettare qualunque tipo di prova, anche se si fosse trattato di scalare una montagna o affrontare lo spirito della foresta, il terrore dei bambini di tutto il quartiere.
Yasuo, colui che aveva decretato la sconfitta di Jiro, si guardò intorno, rifletté un istante e poi disse: – Vedi quel vecchio laggiù? Devi andare da lui e fargli il verso della scimmia! – L’altro ragazzo assentì gravemente con la testa. – Se non lo farai –, proseguì Yasuo, – lo spirito della foresta verrà a trovarti in sogno e ti mangerà gli occhi.
Un lungo brivido percorse la schiena di Jiro. Nonostante fosse poco incline a socializzare con gli sconosciuti, l’idea di incorrere nelle ire dello spirito sarebbe stata sufficiente a fargli attraversare un fiume gelato a piedi scalzi. Si fece coraggio e corse in direzione di Shusaku, che proprio in quel momento aveva strappato l’amo dalla bocca di un altro piccolo pesce dalle squame color argento, che riflettevano la luce di un sole nascosto tra sottili banchi di foschia. Pan, vedendo arrivare qualcuno il cui odore non gli era familiare, cominciò ad abbaiare ma in modo non ostile, agitando vistosamente la coda.
I guaiti del cane richiamarono l’attenzione di Shusaku. – Buono, Pan – disse, posandogli una mano sulla collottola. Il labrador si sedette e continuò a randellare la sabbia con la coda. Il vecchio pensò che fosse accaduto qualcosa, ma Jiro, giunto a pochi metri da lui, senza dire una parola cominciò a fare il verso della scimmia, dinoccolandosi, saltellando e grattandosi il mento. Shusaku rimase sbigottito a guardare il ragazzo dimenarsi in quel modo, ma dopo un po’, stordito dalla surrealtà della scena, proruppe in una risata fragorosa. Una risata sepolta da tempo, forse, perché, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui qualcosa lo aveva divertito tanto. Più Jiro si muoveva forsennatamente, più faceva smorfie e più sembrava a Shusaku che la sua danza selvaggia risucchiasse via un po’ del peso che affliggeva il suo cuore, la corteccia malata di un uomo a cui la vita aveva sottratto il suo bene più prezioso. Rideva così tanto e così rumorosamente che un paio di lacrime gli sgorgarono dagli occhi, e se non fosse stato per il fragore delle onde, avrebbero potuto sentirlo anche gli abitanti delle sparute case che sorgevano oltre le dune sabbiose, al limitare della pineta e a poca distanza dal paese.
– M-mi scusi, signore, non volevo essere scortese. Stavamo facendo un gioco… – disse Jiro, pieno di imbarazzo, puntando il dito verso i due amici che avevano osservato la scena da lontano. Il ragazzo si inchinò timidamente e fece per andarsene, ma Shusaku lo trattenne per un braccio. Era commosso, le mani gli tremavano impercettibilmente. Jiro temette che il vecchio volesse picchiarlo, ma non trovò la forza di fuggire e rimase lì, ad attendere il proprio destino.
Il vecchio pescatore sorrise. – Sei stato proprio una scimmia convincente, ragazzo – disse, guardandolo negli occhi. Solo per un momento, nella piccola macchia di luce che si rifletteva in quelle iridi, gli parve di rivedere gli occhi di Sazae, la sua espressione rilassata mentre passeggiavano lungo la baia raccogliendo conchiglie. Rivide se stesso, i suoi figli e le volute di fumo disegnate dai bastoncini d’incenso deposti accanto una tomba, all’ombra di un grande cedro. Shusaku si sentì come una farfalla trascinata dal vento dell’inverno: il vento erano i suoi ricordi. – Dimmi, ragazzo, – proseguì – sai pescare?
– Sì, signore… Ho provato, qualche volta – rispose Jiro, in tono riverente. Nel frattempo, i suoi amici lo stavano chiamando a gran voce. La coltre di nuvole in cielo si era fatta più spessa, di lì a poco sarebbe scesa la sera. Era ora di tornare a casa. – Scusi, signore, devo andare.
Senza attendere una risposta, il ragazzo volse le spalle a Shusaku e tornò indietro, mentre i suoi compagni di gioco avevano già guadagnato la sommità di una duna e stavano incitando Jiro a raggiungerli. Il vecchio tolse la sua canna dal supporto di bambù e la smontò, riavvolgendo con cura la lenza impregnata di gocce d’acqua, come rugiada sul filo di una ragnatala. Osservò i tre ragazzi scomparire dietro la collina, poi si volse verso Pan che, stanco di abbaiare, si era disteso sulla sabbia. La palla da tennis era rotolata lontano, vicino a uno scarabeo che stava trasportando qualcosa, arrancando controvento per raggiungere la sua tana. – Andiamo, Pan, anche per noi è ora di rientrare.
Mentre camminava, a Shusaku capitò di ricordare qualcosa che da tempo non entrava nell’orbita dei suoi pensieri. “Scriverò una cartolina ai ragazzi, per sapere quando torneranno. Le vacanze invernali sono vicine. Potremmo andare in paese a comprare delle tende per l’anno nuovo. Sazae ne sarebbe contenta”. Costeggiò il bosco di pini e raggiunse la propria casa. Mentre la porta scorrevole si richiudeva alle spalle sue e di Pan, il mare rumoreggiava tranquillo. Anche per lui, quella sera, sembrava che un peso si fosse finalmente disciolto nelle sue onde leggere.