I social network hanno rivoluzionato il nostro modo di relazionarci cambiando il confine tra spazio pubblico e spazio privato. Persino il rapporto con la morte è stato trasformato.
Ieri si commemoravano i propri cari nella propria solitudine. Il cimitero in quanto luogo preposto alla sepoltura dei morti e alla conservazione dei loro resti, era ed è lo spazio ideale per rivolgere un pensiero a chi ci ha lasciato. Spazio presumibilmente fatto di gelide nicchie poste l’una sull’altra. Uno schedario destinato più che a commemorare i propri cari, a contenerli, a standardizzzare il ricordo che i posteri potranno conservare di loro, archiviandoli con fredde etichette marmoree, ottimizzando tutto ciò che possa sottrarre spazio ad un’altra nicchia. In questo luogo burocraticamente assegnato ciascuno è libero di esprimere il proprio dolore. Tra questi metri è lecito dialogare con i propri cari, piangere al cospetto di una foto, accarezzare una fredda epigrafe, soffrire in silenzio. Qui ciascuno privatamente consumava e consuma la propria disperazione senza oltrepassare il confine delimitato dalla candida pietra.
Oggi emerge un nuovo tipo di commemorazione. Alcuni social network, come Facebook, danno la possibilità di conservare il proprio account in caso di morte compilando un semplice modulo. Avuta conferma della morte, il social network rimuoverà dal profilo alcune informazioni riservate, bloccherà la possibilità di fare login e imposterà l’accesso in maniera tale che solo gli amici confermati possano accedervi o trovarlo nelle ricerche.
Si tratta di un’idea controversa che suscita reazioni opposte. Da un lato questa iniziativa potrebbe essere letta come il tentativo di mantenere una traccia commemorativa visibile, tangibile dei defunti, uno sforzo per tenere accesa la memoria e ricordare collettivamente i propri cari, dall’altro lato potrebbe sembrare un tentativo irrispettoso di riprodurre un cimitero virtuale, strappando al luogo fisico la propria sacralità.
Non è questa l’unica modalità offerta dai social network per commemorare, chi non conosce questa funzione può superare il problema creando un gruppo ad hoc per la persona scomparsa.
Entrambi i sistemi permettono a chi rimane di conservare un dialogo col deceduto, di manifestare le sensazioni, i pensieri, i dubbi, gli interrogativi senza risposte. Sembra quasi crearsi una sorta di cimitero virtuale dove amici, parenti, amanti possono quotidianamente commemorare il proprio defunto.
Video, foto, canzoni, poesie vengono postati per qualcuno che ormai non c’è più, per qualcuno che se n’è andato lasciando un enorme spazio vuoto.
Sarà forse per colmare un’assenza, per sentirsi meno soli nel momento di una perdita, per dare un significato all’inspiegabile, per ricordare a se stessi che non si tratta di un incubo, ma è dura e amara realtà.
Non tutti riempiono la bacheca. C’è anche chi rimane immobile, in disparte a guardare, a ricordare, partecipando in silenzio senza manifestare la propria presenza. Eppure in quel silenzio, nella lettura di quei messaggi, nell’ascolto di quelle canzoni, nella fruizione di quei pensieri postati sulla bacheca del defunto, riesce a trovare conforto, si sente meno solo.
È come se quello spazio desse vita al ricordo sottolineando la profondità delle tracce lasciate nelle vite altrui da chi se ne è andato.
Sembra nascere un cimitero virtuale dove i dolori singoli si fondono, dove la sofferenza diventa pubblica, dove i defunti sembrano respirare attraverso i gesti di chi continua a mantenerli in vita.
Se prendiamo in considerazione il concetto di autentitità di Heidegger che si realizza attraverso la consapevolezza della propria finitezza, allora in questo cimitero virtuale si compie un movimento autentico verso la morte.
Questo spazio salva il defunto dal rischio di non essere per farlo diventare autenticamente ciò che è, salvandolo dall’assopimento e l’abbandono.
Il ricordo collettivo incrementa la vita nella morte.
Tonia Zito
Immagine di MaggieBebbe