Una delle attività più incomprensibili per chi non vive il mondo dell’editoria è quello dell’editing. Una misteriosa mansione, sconosciuta ai più e terribilmente temuta dagli autori, soprattutto da quelli emergenti.
Approfittando della calura estiva, proviamo a parlare dell’editing e cominciamo a soddisfare la curiosità dei non addetti ai lavori a partire dalla sua definizione: l’editing è la revisione editoriale di un manoscritto in vista della sua pubblicazione in forma di libro e si articola in queste fasi: analisi dei contenuti e affinamento dell’espressione, revisione linguistica, strutturazione degli argomenti, verifica delle citazioni e della biografia, applicazione delle norme di uniformazione della casa editrice (la cosiddetta “cucina editoriale”, preparazione dei materiali per l’impaginazione. Naturalmente non è detto che vada seguito quest’ordine. Due sono le fasi più delicate: l’analisi dei contenuti e la revisione linguistica.
L’analisi dei contenuti è la parte più impegnativa e più lunga della revisione editoriale, in breve fa la differenza tra un libro accurato e un libro sciatto. Il contributo del redattore in questa fase è importantissimo, soprattutto per i libri scientifici, in particolare per quelli di carattere divulgativo e richiederà un grosso impegno, oltre che da parte dell’autore, anche da parte del redattore, proprio perché il libro sarà letto anche da chi non è un addetto ai lavori. La revisione linguistica riguarda la purezza e l’eleganza della lingua e non solo. La lingua deve essere aderente e verosimile rispetto ai personaggi, come un abito che li descriva.
Al termine del lavoro di editing, poi, il redattore si mette in contatto con l’autore del libro e gli fa presente con i punti che presentano delle difficoltà sotto il profilo espressivo e contenutistico. Non sempre questa collaborazione è semplice e serena, anche perché l’editing è una attività tipicamente americana e poco italiana, come ha ricordato Fernanda Pivano al Salone del libro di Torino nel 1988, quando sull’argomento si tenne il dibattito La fabbrica del libro:
La figura dell’editor sembra tipicamente americana anche se dall’America è rimbalzata in Europa in tempi recenti; e infatti non si è trovata una espressione italiana che la indichi compiutamente, dato che quella di redattore non sembra soddisfacente. Da noi per lo più gli scrittori sono ostili agli editor e li considerano prevaricatori e inutilmente invadenti: sono insofferenti a modifiche volute da altri e soltanto i più maturi si adattano ad accettare consigli e suggerimenti. In America non è così. Per lo più si stabilisce tra lo scrittore e il suo editor un rapporto di vera e propria amicizia, che va al di là della solidarietà professionale e della alleanza editoriale.
Tra gli editor più illustri nella storia di questa professione, perché hanno tracciato la strada di questa attività, indimenticabili sembrano Maxwell Perkins della casa editrice Scribners e Saxe Commins della Random House: il primo è stato il grande artefice della disciplina imposta a due artisti imprevedibili, come Francis Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway, e il secondo è stato il letterato al quale dobbiamo forse la possibilità di aver visto condotte a termine le opere di William Faulkner. Altri grandi nomi dell’editing sono Henry Robbins, Bob Gottlieb, Hiram Haydn, Morgan Entrekin.
Maria Mancusi