“In italia è emergenza giovani” tuonano i ministri Carrozza e Giovannini. Sono i Neet, cioè i ragazzi, tra i 16 e i 29 anni, che non studiano né lavorano o cercano occupazione, a preoccupare in modo particolare i due ministri del Lavoro e Politiche sociali e dell’Istruzione e Università, che commentano i dati dell’indagine PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) dell’Ocse. Che cosa ha evidenziato l’indagine? Semplice: gli Italiani sarebbero da bocciare in italiano e matematica. Nel nostro Paese le competenze linguistiche e scientifiche sono al di sotto della media dei Paesi dell’Ocse. Ultimi nelle «competenze alfabetiche», penultimi invece in quelle matematiche. A ciò va aggiunto che la popolazione italiana tra i 25-64 anni senza un diploma di secondaria superiore è circa il 45%, contro un dato europeo del 25% .
Secondo i ministri, «I dati sono allarmanti e impongono un’inversione di marcia. Desta particolare preoccupazione la condizione dei cosiddetti Neet, giovani che non studiano né lavorano: l’abbandono precoce dei percorsi di formazione rischia di pregiudicare il loro futuro».
Sicuramente questi dati sono allarmanti, quasi anacronistici, come se le possibilità offerte all’intelligenza umana si moltiplicassero, ma si dividesse l’interesse verso la conoscenza. Quello che, però, né i ministri né la ricerca dicono è che si sta assistendo a uno spreco di risorse e talenti terribile per il nostro paese e non basterà il varo del «Piano Garanzia Giovani», voluto dall’Europa e previsto entro gennaio prossimo. Perché? Perché la cultura deve tornare ad avere un valore assoluto, deve essere considerata “la” possibilità in cui dovrebbero investire Stato, famiglie, giovani. E invece fondamentalmente non ci crede più nessuno.
Di contro a questa Italia, di aspettative deluse e soluzioni deludenti, ce ne è un’altra, quella di Khadiri Abdelmoula, 26 anni, neolaureato in ingegneria civile. La sua vita? Tra la strada e le lezioni universitarie. Arrivato in Italia all’età di 11 anni, come i suoi fratelli, vendeva braccialetti e accendini davanti a Palazzo nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell’Università di Torino. Poi Rachid negli anni ha imparato non solo l’italiano, ma anche il dialetto piemontese. Forse ha imparato di più. Ha desiderato di più. E’ arrivato alla laurea Rachid, con sacrificio e con allegria, come quando esortava i docenti ad acquistare la sua merce. «Professore, non faccia il tirchio. Lei guadagna tremila euro al mese, suvvia, dia un piccolo contributo». E un piccolo contributo l’Italia, Torino ha dato a questo ragazzo: la speranza, la voglia di mettersi in gioco, che manca a tanti dei ragazzi italiani, che, sì, hanno avuto tanto dalla vita e poco dalle istituzioni, ma che con finti alibi hanno smesso di chiedere perché non sanno che cosa volere.
Maria Mancusi