La testimonianza di Liliana Segre per non dimenticare…
Liliana Segre
Nata nel 1930, nell’inverno del 1944 Liliana Segre fu costretta a salire su un camion che attraversava Milano per raggiungere i sotterranei della stazione Centrale e il binario 21, da dove partivano i treni per Auschwitz-Birkenau. Suo padre era con lei, ma non lo vedrà più. “Imparai in fretta – racconta la donna – che lager significava morte, fame, freddo, umiliazioni, torture, esperimenti”.
Nel campo la superstite lavorava in una fabbrica di munizioni. Una volta una compagna, una ragazza francese di nome Janine, si era ferita gravemente a una mano. Mentre, durante la selezione, ne veniva decretata la condanna a morte immediata, Liliana Segre confessa di non essersi voltata: “Avrei voluto farlo, solidarizzare con Janine. Non lo feci. E’ un pensiero che mi tormenta sempre”.
La sopravvissuta ha anche descritto più volte la cosiddetta “marcia della morte”, durante la quale i prigionieri furono costretti a seguire i nazisti in fuga. Fino a quando questi ultimi si tolsero la divisa per nascondersi tra la popolazione civile. Una SS gettò a terra la sua pistola. La donna pensò: “Prendo l’arma e la uccido”. Poi si bloccò. “No, non la prendo”. E in quel momento, dice la Segre, “ha vinto la vita”.