Le recensioni di Connessioni Letterarie
Generazione perduta (Testamenth of Youth) è un libro che ho scoperto per caso dopo aver visto il trailer dell’omonimo film, uscito nelle sale nel 2014 e avente come protagonista la magnifica Alicia Vikander.
Quando cominciai a leggerlo qualche tempo fa pensai che mi stavo addentrando in un testo lungo ed impegnativo (oltre seicento pagine che narrano circa un decennio di vita dell’autrice), tant’è che all’inizio mi feci persin intimidire dalla mole d’informazioni – l’infanzia e i primi anni di vita di Vera Brittain.
In realtà, proseguendo con la lettura, ho cominciato senza rendermene conto a immedesimarmi in lei che, nonostante sia vissuta decenni prima di me, è così simile e familiare nelle proprie fantasie adolescenziali e aspirazioni accademiche. Progressivamente ci si ritrova nelle lettere che Vera scrive e nei telegrammi che con tanta impazienza attende; si ama con lei, si aspetta, si riflette. Si sogna. Almeno finché non sopraggiunge il mostro nero della guerra.
Generazione perduta è infatti l’autobiografia di Vera Brittain, vissuta tra il 1893 e il 1970. Come accennavo può sembrare distante da noi (aspetto riscontrabile soprattutto nei mezzi di comunicazione che lei utilizza e che lasciano senza fiato il lettore: l’idea di dover attendere giorni, se non anche settimane l’arrivo di un a lettera, è snervante), ma proseguendo la storia ci si rende conto che non è così.
L’amore è profondo e travolgente ed alimentato da poesie, lettere delicatamente appassionate e grande corrispondenza intellettuale fra due giovani menti brillanti e indissolubilmente legate.
Ancora una volta tutto sembra completo nella vita di Vera, quand’ecco che arriva il vero banco di prova della sua vita (e non solo): la grande Guerra.
È interessante come questa venga vissuta come una lontana seccatura, qualcosa che è destinato a finire in poco tempo (in molti, in effetti, pensavano si sarebbe trattata di una guerra lampo) e che comunque va ad interferire con un programma di vita luminoso e già deciso; al contrario, i giovani uomini chiamati alla leva accolgono l’evento come un pretesto di eroismo e riscatto personale, per cui si arruolano convinti che lo scontro, nella sua brevità vera o presunta, darà loro lustro.
Nessuno di quella generazione poteva sapere che invece il conflitto sarebbe durato anni e che avrebbe abbandonato i suoi ragazzi ad attendere, sperare e morire in qualche misera trincea al fronte.
La realtà dei fatti si fa lentamente spazio nella vita dei protagonisti, a cominciare dalla decisione di Roland di partire a sua volta. I contatti diventano meno frequenti, più tesi e attesi, e la lontananza grava col peso della paura e delle aspettative. La situazione precipita quando anche il fratello Edward si unisce all’impresa.
Il mondo accademico non basta più, non è abbastanza forte da proteggere i suoi studiosi e non è sufficiente a contrastare una realtà ben più complessa di quella dei libri. Di qui ne deriva la decisione dell’autrice di abbandonare gli studi per diventare una VAD (Voluntary Aid Detachment) sul campo.
La teoria diventa pratica e la speranza perde i suoi vezzi: la guerra si dimostra lunga e snervante e Vera deve fare i conti con la lontananza degli uomini della sua vita e con la vicinanza di altri uomini, così simili a loro, che arrivano al suo capezzale completamente persi e martoriati.
Negli anni raccontati, il lettore assiste alla crescita spirituale di una ragazza che vive lo strazio della perdita, l’alienazione della stanchezza viscerale, la solitudine di chi sa che i sogni di gioventù si sono infranti con la brutalità che solo una guerra può dimostrare.
Ma quando si pensa che sia finita, ecco che in realtà la storia prosegue con una giovane donna ben lontana dalla mentalità delle nuove generazioni che la guerra non l’hanno vissuta sul campo come lei: comincia così l’accettazione del rifiuto altrui, rifiuto del dolore e del ricordo, e la profonda riflessione su chi e cosa possa diventare una donna con quel vissuto in una società che, superato il conflitto, si è rivestita di quieta “normalità” (normalità che si aspetta il ritorno a determinati ruoli sociali e vincolanti).
Come andare avanti con un passato così complesso sulle spalle? Come essere innovatori in un mondo che si sforza di tornare alla sua antica pace dopo esser stato così profondamente sconvolto?
Generazione Perduta è un testo che consiglio perché applicabile a tante dinamiche sociali esistenti tutt’oggi, quali la furia cieca nei confronti dell’altro, l’incoscienza di cosa rappresenti davvero un conflitto, la fragilità che si fa forza per diventare un fiore d’acciaio in un mondo che anche di fronte all’evidenza faticherà sempre ad accogliere la verità. Con la delicata spietatezza di chi la guerra l’ha vissuta su di sé, Vera Brittain racconta la sua storia – storia, che alla fine, diventa anche un po’ tua.
Carlotta Papandrea