Emigranti di oggi e di ieri. Coraggiosi, intraprendenti, per qualcuno fortunati. In realtà, solo PERSONE alla ricerca del proprio posto nel mondo quando la possibilità di trovarlo nel proprio paese viene meno. Un altro modo di essere italiani, forse più autentico. Amare il territorio di cui portano il “marchio” senza pretese, amarlo per quello che la vita altrove ha insegnato loro potrebbe essere, amarlo nella sua contraddittorietà, amarlo per cambiarlo anche da lontano, perché la distanza non conta.
Avremmo potuto parlare della situazione degli italiani all’estero, di quello che sognano per l’Italia, delle loro difficoltà, di quello che credono manchi al proprio paese e di quello che hanno imparato nell’incontro con culture altre. Ma i questionari mandati in giro per l’Europa a ragazzi che hanno scelto di investire su se stessi e di farlo all’estero sono tornati nelle nostre caselle di posta ricchi di una voglia di dire e di progettare per l’Italia, che abbiamo preferito proporli in versione integrale.
Lasciamo la parola ad Alfonso, Roberta, Giuseppe, Francesca, Lucia.
Vivi all’estero. Perché hai scelto di lasciare l’Italia?
Alfonso: Perché quattro anni fa ho avuto un’offerta di lavoro in Svizzera e quelle che avevo trovato in Italia non erano di pari livello, allo stesso tempo volevo fare un’esperienza internazionale.
Roberta: Ho lasciato l’Italia esattamente 4 anni fa per seguire il mio compagno che cambiava lavoro e nazione. È stata una decisione sofferta e presa molto a malincuore, mi piaceva tantissimo la mia vita in Italia e non riuscivo a proiettarmi in un’altra realtà, seppure internazionale, mi angosciava il pensiero di lasciare quello che di bello avevo coltivato.
Francesca: Ho lasciato l’Italia 7 anni fa, poco dopo essermi laureata in Lingue e Letterature Straniere. Per tale ragione, consideravo ovvio fare un esperienza all’estero, migliorare le mie conoscenze linguistiche e arricchire il mio bagaglio culturale.
Giuseppe: Per le opportunità di lavoro che mi sono state offerte, per gli stipendi più alti che ho percepito nel corso di questi anni.
Lucia: Per aver la libertà di scegliere una vita professionale e scientifica nell’ambito delle scienze umane e sociali; fare un dottorato di ricerca in storia antica e lavorare come tutrice presso la biblioteca di Lettere e Scienze Umane, nell’ambito della formazione degli studenti universitari alla ricerca documentaria in Storia. Questo mi ha permesso di finanziare parzialmente le mie ricerche dottorali.
Di cosa ti occupi?
Alfonso: Di ricerca clinica in un’industria farmaceutica.
Roberta: Lavoro nelle Risorse Umane, selezione del personale, talent development.
Francesca: Attualmente lavoro come project manager per una compagnia di telecomunicazioni inglese con sede a Barcellona.
Giuseppe: Ho lavorato per vari call center e associazione umanitarie come Greenpeace e inoltre sono un ottimo aiutante chef.
Lucia: Insegno all’università Storia economica e sociale del mondo greco-romano.
Che cosa significa essere italiani all’estero?
Alfonso: Rendersi conto che in Italia non si sta cosi male come vogliono farci credere, ma nemmeno fuori.
Roberta: L’italiano all’estero cerca in tutti i modi di convincere il collega londinese che il caffè espresso è decisamente meglio del caffè lungo, che l’ananas non andrebbe mai messa su una pizza e che la vera pizza ahimè la troverai solo e sempre a Napoli… L’italiano all’estero è colui che nonostante la famosa reputazione “mafia, mandolino” riesce con facilità a conquistare la stima di tutti…
Francesca: Oramai e purtroppo ci sono due punti di vista diversi. Sentirsi italiani all’estero rispetto agli altri italiani che hanno scelto di rimanere in Italia è una sensazione molto gratificante, è come aver fatto un passo oltre, aver cercato e trovato da qualche altra parte quello che probabilmente non avremmo avuto o non avremmo potuto accettare in Italia. Poi c’è la sensazione di essere italiani all’estero rispetto ai NON italiani con cui ci confrontiamo ogni giorno, e non è sempre una bella sensazione. Spesso bisogna difendersi e giustificare dal disagio politico, economico e culturale che da anni e grazie soprattutto a Berlusconi e alla Chiesa, riempie le pagine dei giornali e riempie le bocche ironiche di tutto il mondo.
Per fortuna siamo simpatici e molto autoironici!
Giuseppe: Molte volte non sempre è valutato positivamente per le vicende che riguardano il nostro paese oggi e per le continue vicende che accadono in Italia, mentre le altre nazioni non europee crescono economicamente superando all’estero la fama del made in Italy.
Lucia: Si tratta di una prova quotidiana e a lungo termine. La semplice conoscenza della lingua non basta per sentirsi finalmente integrati a un nuovo contesto culturale, sociale e professionale. Quando la routine e l’affannarsi a ricercare e costruirsi una vita professionale e sociale dignitosa occupano la maggior parte delle ore diurne e notturne, il senso di sdradicamento (involontario) dalla terra natia si percepisce in modo molto saltuario e sporadico. Durante il mio (lungo) percorso in Francia ho potuto nondimeno conoscere l’apertura culturale e intellettuale di qualche persona, che danno conforto nei momenti più duri, nonostante ciò non possa colmare i vuoti che sorgono al pensiero della propria terra. Le acquisizioni sociali e lavorative che lo stato francese è riuscito a garantire ai cittadini e ai semplici residenti francesi devono esser assunti come modello di un eventuale cambiamento italiano in questo senso. Essere italiani all’estero significa accettare la scelta fatta, talvolta determinata da cause di forza maggiore. Essere italiani all’estero significa oltrepassare la rabbia e riappropriarsi delle peculiarità che la cultura italiana possiede per esser ancora più competitivi sul mercato del lavoro.
Come vedi la situazione italiana?
Alfonso: Con un buon potenziale ma che fatica a evolversi, un paese che si muove a rilento, in cui le cose sono cambiate pochissimo negli ultimi 15/20 anni.
Roberta: La situazione che vedo è letteralmente penosa.
Francesca: A livello economico non la vedo peggio del resto d’Europa. Quello che mi preoccupa è l’accettazione culturale di certi disagi che hanno portato gli italiani a vederli come “normali” e in qualche modo ad accettarli, a sopravviverci nel senso proprio di “viverci sopra”. Mi rifiuto di credere che sia stata io la “fortunata” perché ho avuto il “coraggio” di andarmene via.
Giuseppe: Ci sono molte critiche dal punto di vista politico, professionale e personale di ogni cittadino.
Lucia: Abbastanza critica, ma non perdo la speranza di una ripresa politica, economica, istituzionale.
In concreto e nella tua esperienza, quali differenze hai riscontrato?
Alfonso: Le persone qui si lamentano molto meno e fanno molto di più, qui nessuno si sognerebbe di addossare la colpa dei propri problemi a un politico, alla crisi o ad altri fattori esterni, mentre in Italia è diventato quasi un alibi.
Roberta: La differenza maggiore l’ho riscontrata nella ricerca del lavoro, la meritocrazia qui esiste ancora.
Francesca: Una sola sostanziale differenza: ho conosciuto i miei diritti, come lavoratore e come cittadino, a prescindere dalla mia nazionalità, dal mio stato sociale, dai miei soldi, dalle mie amicizie, dal mio sesso e dalla mia sessualità, e ho imparato a riconoscere e a credere nel dovere.
Giuseppe: Tante ma principalmente la possibilità di crescita dal punto di vista professionale.
Lucia: Assistenza medicale continua e a poco prezzo. Tutela contrattuale e sindacale. Parità di condizioni di lavoro anche rispetto a una disparità di mezzi economici di partenza. In linea di massima, chiusura culturale profonda dei cittadini francesi rispetto alla cultura italiana: il confronto e la comparazione possono esistere solo se i termini di paragone sono all’altezza degli elementi francesi in questione.
Che cosa suggeriresti all’Italia?
Alfonso: Di aprirsi di più alle esperienze internazionali e di preoccuparsi di più dei cervelli che non arrivano anziché di quelli che se ne vanno. Credo che sia positivo che i giovani escano, il problema è che l’Italia ha pochissima attrattiva, lavorativamente, nei confronti degli stranieri. Questo determina un impoverimento anziché una circolazione dei talenti.
Roberta: Di cambiare approccio in politica e di fare qualcosa di concreto per i giovani.
Francesca: Di guardare a un sistema politico e culturale più nordeuropeo e smetterla di guardare con orgoglio al proprio passato da BEL PAESE per giustificare quello che non c’è più o non c’è ancora. Io credo molto negli italiani come individui, in quello che sanno pensare, in quello che sanno fare, in quello che sono capaci di creare, nei loro sacrifici di portarsi sempre avanti e con dignità, nonostante tutto. Siamo solo mal gestiti, come popolo, dalle nostre leggi e dai nostri politici e come gruppi di persone dalla nostra obsoleta moralità da famiglia cristiana e dai nostri superiori, qualsiasi essi siano.
Giuseppe: Cambiare tutti insieme, apprendere dal modello islandese che a piccoli passi ha cambiato il modello di vita di una nazione.
Lucia: Uno svecchiamento totale della classe politica nazionale, misure di natura sociale e sindacale che tutelino il diritto al lavoro e la proprietà intellettuale
In che modo ti rapporterai quando a breve ti verrà chiesto di votare come italiano residente all’estero?
Alfonso: Cercando di votare secondo coscienza per il bene del mio paese.
Roberta: Ci sto ancora pensando e non credo troverò facilmente una risposta… questa volta non vedo nessuna soluzione positiva per il nostro paese.
Francesca: Sarò felicissima di votare come la maggior parte degli italiani all’estero che conosco. Non dimentichiamoci mai quanti ne siamo e la differenza che abbiamo fatto anni fa in un ballottaggio importante. Io credo che a qualsiasi italiano all’estero stiano molto a cuore le sorti dell’ Italia, che si abbia intenzione di tornare o no, si vive sempre lì in qualche modo.
Giuseppe: Voterò perché è diritto di ogni cittadino, facendo mettere a verbale la volontà di votare e non perdere il voto, senza assegnarlo all’eventuale.
Lucia: La richiesta è già avvenuta. Resto ferma sulle mie convinzioni politiche, ma non mi sento rappresentata dai candidati attuali.
Maria Mancusi