Racconti d’autore
Dedicato a chi non ce l’ha fatta a resistere al male di questo mondo.
All’inizio le manette hanno cominciato a incrinarsi impercettibilmente, poi la crepa si è estesa fino a diventare ben visibile lungo la superficie dorata. Stasera è il grande giorno. Matthew ha comprato tutto l’occorrente. Le mani, tra le mani si è accesa una piccola luce che sembra irrorargli le braccia: scorre questo tenue bagliore lungo le sue vene. Matthew si sente finalmente pronto. Ventotto anni vissuti da prigioniero, lo sa, se ne rende conto, ma dopo le dieci di questa giornata di fine inverno comincerà il capitolo finale della sua vita. Come ci si sente? Cosa si prova una volta che ci si lascia alle spalle il doloroso chiacchiericcio del mondo esterno, le insinuazioni che mulinano le orecchie come il ronzio di una zanzara in piena notte? Sta tremando, certo, il caro Matthew, mentre la matita traccia una spessa linea nera tra le palpebre. Le gambe vacillano sapendo che dovrà aprire quella porta, o meglio, abbattere la sua gabbia a colpi d’ascia, e librarsi finalmente in volo. Lanciarsi nel vuoto. La rupe è scura e lambita dalla tempesta, le onde scosse da un vento sconosciuto. Matthew si sfila i pantaloni, osserva sconsolato la bianchezza delle proprie gambe; poi lo sguardo si sposta lì in mezzo, tra i genitali fasciati da un paio di mutande nere. Li accarezza, gli ricordano suo padre. Che strano. Apre l’ultimo cassetto del comodino di sua madre, ne estrae una boccetta intonsa di smalto viola. Odore acre.
A questo punto gli sfugge un sorriso, inevitabilmente.
Cos’è che ha rotto la sicura che assicurava le manette ai suoi polsi? Un’associazione di idee, forse: il colore del sangue sgorgato dal suo naso due sere fa era lo stesso del sangue di allora, del Matthew ragazzino rinchiuso dentro il suo armadietto di scuola. Quel pugno che gli ha fracassato il setto nasale all’uscita della discoteca deve aver inferto un colpo più profondo, più intimo. Ma dopo che il sole sarà tramontato, riflette Matthew, tutto cambierà. Cambierà tutto, cazzo. È meticoloso nello stendere lo smalto sulle sue unghie di un rosa vivido, le osserva mentre vanno tingendosi di un colore nuovo. Appoggia le mani sul comodino per lasciarle asciugare. Si alza; il suo corpo è inondato di una luce pulsante, sulle sue scapole si accendono due globi che pian piano assumono la forma di un paio di ali. Cammina lungo la stanza. Vaffanculo Matthew, fai schifo, sei un uomo di merda, sei un culattone, un succhiacazzi. Matthew, che depravato. La faccia della signora Plumber contratta in un’espressione di assoluto disgusto, una pioggia sguardi satanici tra le panche di legno scuro della chiesa. Cosa pensavi di fare, madre, sbattendolo fuori di casa? Cammina lungo la stanza da letto dei suoi genitori, raccoglie la fotografia incorniciata che campeggia al centro del cassettone, guarda: un ritratto spensierato e fasullo della sua infanzia. Ora te ne sei andata, mamma, e anche tu, papà. Siete andati via, ma nonostante tutto io sono tornato qui per permettervi di assistere al momento più emozionante e catartico della mia vita. Ciao, Parker, ci sei anche tu al rituale della mia emancipazione, al mio salto nel vuoto? Ne sono felice. Ricordo con sgomento il dolore dei tuoi schiaffi, il cazzotto che hai impresso sul mio viso, tu che eri il mio migliore amico, per dimostrare alla ghenga di Peter Benwood che non hai mai avuto niente a che fare con un gay di merda come me. Non ti ho mai serbato rancore, sai, Parker, e ti assicuro che non era necessario che venissi. Ah, sì, le matite spezzate, i vestiti strappati, il banco vandalizzato da scritte piene d’odio, la colla spalmata sulla sedia, il segno delle catene sulle mie braccia. Non è colpa mia se ricordo tutto, Parker, ma non temere: ricordo bene anche le lacrime che versasti per me quella sera stessa, medicandomi le ferite, baciando la mia pelle gonfia e marcita. Sono contento che adesso siate qui, mamma, papà, Parker. Finalmente avrò ciò che ho sempre desiderato in tutti questi anni.
Bip bip bip bip, bip bip bip bip. 10:00 pm.
Le manette si sono spezzate, rotolano lungo la moquette. Brillano le ali di Matthew sotto la luce del lampadario. Entra in bagno, apre l’armadietto. Le sue cosce bianche si confondono quasi con la tinta delle piastrelle. Si toglie gli slip, li lancia nella vasca. Prende in mano il suo pene. Il taglio è netto, preciso, senza esitazione. Oh, pensavo che facesse male, credevo che la carne avrebbe opposto un minimo di resistenza. Ma un improvviso bruciore sale su insieme allo stordimento degli ansiolitici, per cui Matthew capisce che è il momento di volare, prima che il torpore gli avvolga le membra e lo faccia cadere. Una piccola rosa vermiglia è sbocciata tra le sue gambe. Sorride. Torna in camera e comincia a vestirsi, indossando il completo che era di suo padre, e che l’aveva reso l’uomo più bello del mondo agli occhi di sua madre, il giorno del loro matrimonio. Si sistema con cura il fazzoletto azzurro pallido nel taschino della giacca. Si pettina i capelli. Il viso livido di Matthew allo specchio è cristallizzato in un’espressione serena. Grazie, Parker, per essere venuto. Sappi che sei stato la persona che ho amato di più in questa terra, la mia luce, il mio faro nella notte. Ma ora non possiamo più restare insieme, perché è giunto per me il momento di volare. Grazie, mamma e papà.
Matthew depone sul tavolo del soggiorno una busta chiusa e un piccolo registratore nero, si assicura di non aver dimenticato nulla. La cravatta è a posto?
Apre la porta. La rupe è avvolta nella tempesta, ma ormai è consapevole che ce la farà. Spiega le ali.
E allora vola, Matthew, vola.
Ivan Bececco