Le recensioni di Connessioni Letterarie
Come già indica il titolo, le nove storie raccolte in questo libro di Antonio Tabucchi, scomparso da qualche anno, hanno a che fare con il senso del tempo, il suo essere inafferrabile eppure fondamentale per le esistenze di ciascuno. I protagonisti dei racconti infatti si trovano alle prese con un tempo che ritorna su se stesso, un momento che impone una riflessione su quello che si è fatto, insomma un recupero del passato per tirare le somme, fare un bilancio della propria vita e andare avanti, traendone le dovute conseguenze. Ed il tempo, come indicato dal titolo, tratto da un verso di un poeta greco antico, ha il brutto vizio di scappare via, sfuggire tra le dita.
Il particolare “sentimento del tempo”, cioè, etimologicamente, l’avvertire che il tempo passa, esige la solitudine del soggetto, un isolamento dal mondo esterno, dalle circostanze comuni e dagli altri esseri umani. Ecco spiegato il motivo per cui molti dei protagonisti dei racconti sono rappresentati in solitaria, astratti, per un periodo più o meno breve, dal resto del contesto sociale. Accade soprattutto nella prima storia, Il cerchio, oppure in I morti a tavola, dove una spia tedesca vaga per le strade di Berlino e alla fine si ritrova a parlare sulla tomba della personalità che spiava, niente poco di meno che Bertolt Brecht, oppure ancora in Yo me enamoré del aire, in cui il protagonista cammina in un parco di una città affacciata sull’Atlantico – presumibilmente Lisbona o un’altra località del Portogallo, tanto amato e studiato da Tabucchi – e si ferma affascinato da un’antica canzone, intitolata appunto “Yo me enamoré del aire”.
Domina comunque in quasi tutti i racconti la dimensione della memoria, che sovviene, aiuta oppure tormenta e perseguita i personaggi rappresentati, su cui si appunta l’attenzione dell’Autore. Così in altre storie avviene un vero e proprio passaggio di ricordi, una sorta di rito di trapasso in cui le memorie di un personaggio vengono trasmesse ad un altro, che ne diventa l’erede ed il testimone; non a caso sono le narrazioni in cui più si avverte una riflessione sul ruolo antropologico della letteratura, tra cui c’è anche – e soprattutto – quello di tramandare storie e vicende. È la dimensione dei racconti Clof, clop, cloffete, cloppete, il toccante Nuvole, in cui un ufficiale dell’esercito italiano colpito dalle radiazioni dell’uranio impoverito in Kosovo insegna ad una ragazzina l’arte di scrutare il futuro dalle nuvole, Festival, dove un regista polacco svela i segreti dei documentari sui processi politici ai tempi della dittatura comunista. Si nota anche un rimando di struttura e di temi fra la seconda storia, Clof, clop, cloffete, cloppete, e la penultima, Bucarest non è cambiata per niente: in entrambe il personaggio principale ascolta le memorie della propria infanzia e del passato da un genitore – in Bucarest non è cambiata per niente – o da chi ne ha fatto le veci – la zia in Clof, clop, cloffete, cloppete – portando a compimento il rito ancestrale del trapasso delle memorie, il riversamento di un serbatoio di esperienze da una generazione all’altra; non a caso chi trasmette queste memorie è molto in là con gli anni se non addirittura gravemente malato.
Con Tabucchi si compie un esteso viaggio per l’Europa: si passa da Ginevra a Berlino, dalle spiagge dalmate in Nuvole alla città sull’Atlantico di Yo me enamoré del aire, dall’Ungheria del ’56 in Fra generali all’isola di Creta nella finale Controtempo, fino ad approdare anche fuori d’Europa, in Israele con Bucarest non è cambiata per niente e a New York nell’attualità di Fra generali. Ciò che tiene tutti uniti questi punti dispersi sul globo terrestre è l’attenzione dell’Autore alle vicende nodali del Novecento, in particolare a quelle accadute nel cosiddetto blocco orientale, la parte politica che Tabucchi abbracciò fin da giovane ma di cui avvertiva comunque difetti e contraddizioni, che infatti nel libro vengono messi in luce.
La tecnica narrativa non è per nulla scontata o comune. Fin dalle prime pagine Tabucchi ci trascina nell’irresistibile gorgo del discorso indiretto libero, spinto fino a punte di autentico flusso di coscienza, la tecnica più indicata per sondare le pieghe ed i movimenti della psiche umana. L’Autore è talmente abile da spianare tutte queste pieghe e descrivere i più minuti particolari e passaggi del ragionamento dei suoi protagonisti, attraverso le continue correzioni e le frasi estremamente lunghe che ci registrano in presa diretta i pensieri dei personaggi scandagliati. Il contatto con questa tecnica non è facile, perché già dalla prima storia non si capisce subito chi “sta parlando”, se un narratore esterno o la protagonista stessa. Man mano poi si prende confidenza con l’andamento della narrazione, almeno per quanto riguarda i lettori più allenati. Addirittura Tabucchi si spinge fino all’utilizzo del discorso diretto libero, che riporta gli interventi verbali dei personaggi senza i tipici segni di punteggiatura che lo dovrebbero segnalare, ma nel continuum delle frasi del racconto. Una tecnica poco ortodossa, ma che rende la narrazione fluida e le acquista un tono di “chiacchierato” molto colloquiale.
C’è molta riflessione sulla letteratura fra le storie di Tabucchi. Oltre a quella già evidenziata a proposito delle memorie, l’ultimo racconto indaga i rapporti tra letteratura, scrittura di finzione e realtà, con l’autore della storia che si trova a rivivere le stesse esperienze di cui lui aveva scritto; in I morti a tavola il protagonista rievoca alcune vicende del personaggio che spiava, che si capirà essere Brecht. Si possono anche fare delle ipotesi di allusioni a personalità del mondo della letteratura: il personaggio principale della seconda storia, Clof, clop, cloffete, cloppete, ha alcuni tratti che possono rimandare a Carlo Emilio Gadda – la propria malattia, il ricovero dell’anziana zia fanno ripensare a certe atmosfere de’La cognizione del dolore, si parla poi di un romanzo, una sorta di “Romanzo della vita”, un’opera perciò fondamentale, la cui scrittura continua a essere ripromessa, da parte di questo personaggio, a sé e ad amici ed editori –; la ragazzina curiosa che anima le pagine di Nuvole si chiama Isabèl ed è nata in Perù, indizi che potrebbero costituire un rimando a Isabèl Allende, scrittrice sudamericana.
In conclusione, segnalo il racconto che più mi è piaciuto nella raccolta, il toccante Fra generali, in cui un generale dell’esercito ungherese, in prima linea negli eventi del ’56, ricerca il pari grado che gli era stato nemico nell’esercito sovietico invasore e gli aveva causato l’espulsione dai ranghi. Quando, ormai anziano, viene reintegrato dallo Stato ungherese per la sua resistenza, ricerca il suo antico nemico e lo va a trovare a Mosca. Tutto fa pensare ad una vendetta, ma l’incontro si risolve come tra vecchi compagni. Meno riuscite sono invece altre storie, come Yo me enamoré del aire o la finale Controtempo, vertiginosa ma anche piuttosto enigmatica ed ambigua.
Lorenzo Paradiso
Titolo: Il tempo invecchia in fretta
Autore: Antonio Tabucchi
Anno: 2009
Pagine: 173
Editore: Feltrinelli