Le recensioni di Connessioni Letterarie
Se è vero che l’immortalità è propria solo degli esseri supremi che hanno oltrepassato le porte sacre di altri spazi, se è vero che è preclusa agli umani mortali costretti alla contingenza del qui e ora, alla volgarità degli angoli ottusi, dei pensieri ordinari, all’inclemenza dell’esazione biologica, è altrettanto vero che la parola scritta, come marchio forgiato al fuoco sacro delle cose divine, ci consegna il tempo nella maestosità degli attimi sottratti alla morte.
Compendio di perfezione letteraria, Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar (Ed. Einaudi), infatti, è molto più di un romanzo storico, troppo oltre una biografia: è la classicità offerta in dono al Novecento, la solidità degli Imperi che non cadono come monito per le identità volatili, nel tempo in cui l’oscenità si fa teatro e l’eloquenza cede il posto al chiacchiericcio confuso di passanti annoiati.
La veste, a voler essere precisi, è quella del romanzo epistolare e ripercorre i passi dell’uomo che tenne in pugno il mondo, che fu l’artefice della magnificenza dell’Impero Romano del II sec. d.C., ma che cercò ‘la libertà più che la potenza’ e si sentì ‘responsabile della bellezza del mondo’: le falcate decise negli anni del vigore, i viaggi, le conquiste, l’amore perduto e divinizzato, e gli ultimi tentennamenti, il respiro affannato, il lasciar andare le cose umane all’approssimarsi della morte.
Publio Elio Traiano Adriano, nato sotto il segno dell’Acquario e benedetto dagli dei, giunto alla fine del suo viaggio lungo e spettacolare alla ricerca dell’equilibrio perfetto, decide di scrivere al nipote e futuro successore Marco Aurelio, abbandonandosi al gusto agrodolce del ricordo: ecco, allora, l’Impero, il fasto, l’aristocrazia dello spirito, lo splendore degli stati perfetti e conchiusi, le opere monumentali e le grandezze osannate per secoli di storia; e le cadute, le deviazioni, le paure di un uomo senza paura; e, infine, la malattia, la resa, si arrendono anche i più grandi davanti alla morte: la perfezione della morte ‘affrontata a occhi aperti’.
Il fatto storico lo conosciamo. È storia, appunto: successione di eventi, che in qualche modo è arrivata sino a noi. Ma il nodo centrale della questione che ci interessa adesso sta nelle possibilità narrative della Yourcenar, che qui ci appaiono sconfinate seppur perimetranti un oggetto ben preciso. L’autrice, infatti, ricostruisce la vita di Adriano con minuzia e passione, come se stesse narrando le sorti del suo fratello più caro o dell’amante perduto in una notte piovosa di mezza estate; non lascia che le sfugga neanche la più piccola sfumatura, verifica ogni dettaglio, ogni passaggio, ne disegna espressioni e sfumature, con la meticolosità mordace propria dei legami ossessivi, e non dimentica nemmeno il volto umano del semidio che ha riso e pianto. Ché si può piangere anche per troppa bellezza, quando è talmente immensa da assumere sembianze quasi miracolose: ché le lacrime segnano linee di confine, delimitano un prima e un dopo, un luogo dal quale non si torna, dolore o bellezza che sia.
E il segno scritto, tracciato a memoria del tempo consacrato alla bellezza dell’etica immorale, si muove fluido, aristocratico quanto lo stesso Adriano, con l’eleganza di certi mosaici bizantini, dell’acqua di sorgente che sgorga priva di argini al primo mattino.
Sicuramente l’opera nella quale il gesto letterario della Yourcenar raggiunge il risultato più alto, a oltre sessant’anni dalla prima edizione, Memorie di Adriano si impone ancora nel mare magnum affollato e caotico della letteratura postmoderna come prototipo del romanzo perfetto, capace di oltrepassare anche i confini dettati dalle strutture testuali e dalle peculiarità di genere, per regime stilistico, livello lessicale e metaforico, fluidità narrativa e intersecazione tra fatto storico ed elemento introspettivo: non un capolavoro, ma il capolavoro.
Enrica Fallone
Autore: Marguerite Yourcenar
Titolo: Memorie di Adriano
Editore: Einaudi
Anno: 2002