Se è nel concetto del procedere l’essenza del cambiamento, è importante cercare di lasciare andare le abitudini che si cristallizzano nel pensiero. È vero, non è facile, perché, come diceva l’economista britannico John Maynard Keynes “la difficoltà non sta nel credere alle nuove idee ma nel rifuggire dalle vecchie”.
Visto che il nostro cervello attiva ciò che conosce, se registra sempre le stesse informazioni, le stesse relazioni, le stesse esperienze, si adatta alle stesse circostanze e la nostra realtà non cambia. Noi infatti siamo abituati a vedere le cose sempre dalla stessa prospettiva, per cui non pensiamo che ce ne possa essere un’altra. Invece cambiare il modo di pensare, diventare flessibili e cercare alternative a ciò che è abituale ci permette di acquisire una mentalità aperta a diverse possibilità, ci permette di riscoprire la creatività, la fantasia, l’ originalità e di fronteggiare meglio l’inaspettato.
Non possiamo attuare infatti nessuna forma di cambiamento della realtà, se prima di tutto non modifichiamo il nostro mondo interiore: “il progresso è impossibile senza il cambiamento”, diceva G. B. Shaw, “coloro che non possono cambiare la propria mente non possono cambiare nulla” e già Seneca, nel primo secolo, scriveva “è l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi… A che serve conoscere città e luoghi diversi? È uno sballottamento che sfocia nel vuoto. … Tu fuggi con te stesso”.
Se cambiamo il punto di vista, cambia infatti anche la realtà.
Lavorare su noi stessi per assumere una nuova forma mentis significa innanzitutto riflettere su ciò che siamo e sulle nostre convinzioni, dall’incominciare a pensare, per esempio, quanto l’immagine che abbiamo di noi condizioni negativamente o positivamente la nostra vita. Siamo abituati a etichettarci in base agli sbagli commessi e non ci rendiamo conto che stiamo commettendo uno dei più grandi errori, perché, identificandoci con un comportamento, cristallizziamo in noi l’idea di essere ontologicamente in quel modo e di conseguenza ci convinciamo che non possiamo cambiare.
Lavorare su se stessi significa anche diventare flessibili per adattarsi al cambiamento, ma ciò non vuol dire adeguarsi, in quanto mentre l’adeguamento indica l’accettazione passiva di ciò che avviene, l’adattamento è la capacità di usufruire delle nostre risorse per rispondere alle richieste esterne e quindi di interagire con la novità e di scegliere fra le varie strategie, per ottenere il miglior risultato. Il cambiamento infatti non deve essere accolto acriticamente, ma deve essere interpretato secondo le proprie strutture mentali per essere integrato nella nostra vita. Solo interagendo con l’ambiente e modificando il proprio comportamento in base alle mutate circostanze, l’adattamento diventa una grande prova di maturità e di equilibrio interiore. Parlare di “gestione del cambiamento” significa perciò riferirsi alla nostra soggettiva modalità di rapporto prima con noi stessi, poi con gli altri e con gli eventi della vita stessa.
Noemi Di Gioia