Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana, e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento, ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.
Suonavano così le parole di John Keating (Robin Williams), in L’attimo fuggente, difficile dire se la poesia abbia ancora tanta forza, ma di sicuro non ha perso il suo fascino. Se l’etimologia la lega al verbo greco poiein, “fare”, ovvero creare, come se il poeta fosse in un certo senso un dio che plasma non la materia, ma le parole, la storia di questa forma letteraria è storia di mistero. Ispirato da forze divine, il poeta comunica al mondo una verità, e questa missione di rivelazione che ha radici lontane fa sentire la sua eco fino al simbolismo e all’ermetismo del novecento, fino ai giorni nostri, dove la poesia è qualcosa che dice prima ancora che la mente possa capire.
La poesia nasce per espletare il bisogno umano di instaurare un rapporto di carattere conoscitivo fra l’uomo e la divinità, almeno era così nel pensiero greco sulla cui base poggia tutta la cultura letteraria occidentale, non solo in ambito privato e individuale, ma anche pubblico, tanto che per il suo carattere di “parola di dio rivelata all’uomo tramite la mano del poeta” la poesia non solo non era considerata come creazione individuale perché opera non umana, ma è stata a lungo legata al concetto di gruppo/comunità di cui esprimeva i valori, le aspettative, i sentimenti. L’evoluzione verso la poesia come comunemente la intendiamo, fu senz’altro legata allo sbocciare e al diffondersi della poesia lirica. Questa lontana dalla poesia “religiosa” (legata ai responsi oracolari) e dall’oggettività dell’epica eroica (poemi omerici) o didascalica (poemi esiodei) che costituì una vera e propria enciclopedia della cultura greca arcaica, scaturì dalla volontà del poeta di affermare se stesso, esprimendo sentimenti e opinioni personali, spesso in polemica con le norme fissate dal comportamento collettivo.
A un certo punto il poeta rivendica la sua capacità artistica a dispetto della divinità e in ostilità con una pubblico di lettori, con una società che non poteva capire. Un distacco che è rimasto la cifra precipua della poesia. Una separazione dal mondo, tanto più sofferta e pungente quanto più vero è il fatto che il poeta è l’unico in grado di dire ciò che tutti gli altri possono solo sentire.
Poesia vuol dire dunque divino e umano, scienza e mistero, fede e follia.
La giornata mondiale della poesia, istituita dall’Unesco nel 1999 viene celebrata ogni 21 marzo. La data, che segna anche il primo giorno di primavera, riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace.
Tra i tanti eventi in programma, un’altra primavera inizierà tra parole che sondano l’umano e versi che lo cantano al mondo.
Maria Mancusi
Foto: Marc Valdes