Un assegno di ricerca non rinnovato. Dottori di ricerca costretti a nascondere la propria preparazione di fronte a datori di lavoro che non vogliono assolutamente collaborare con laureati. Persone competenti, geniali lasciate ai margini della ricerca, dell’accademia, del lavoro. Fuori dalla ricerca, dall’università, dal lavoro, dalla dignità!
È la trama di Smetto quando voglio, il film del regista esordiente Sidney Sibilia.
Ma è solo un film? Dalla prima all’ultima scena non si smette di ridere. Un riso amaro, un pugno nello stomaco, tanta frustrazione di fronte a scene che purtroppo non sono finzione. A quanti di voi è capitato sensirsi dire: “Se avessi saputo che era laureato non l’avrei convocato per un colloquio!”
Il film racconta la vita vera, quella con la quale tutti i giorni ricercatori, laureati, diplomati sono costretti a fare i conti. Il trucco, come suggerisce il film, è reinventarsi, non avviando un’attività illegale, ma investendo in prima persona per costruire il proprio futuro.
La società non offre possibilità lavorative? Non troviamo il nostro posto del mondo? Proviamo a inventarlo, costruiamo la nostra impresa e inventiamo il nostro lavoro.
La società prova continuamente a distruggere i sogni, le aspirazioni. Gli adolescenti di oggi alcune volte non provano a volare in alto neppure con la fantasia.
Eppure bisogna essere più forti, cercando di non farsi spezzare dagli insuccessi. Come gli organismi naturali dobbiamo imparare a ristabilire il nostro l’equilibrio. Mantenere vivi la creatività, la voglia di mettersi in gioco, le ambizioni, i sogni anche dopo che sono stati schiacciati. Dobbiamo essere capaci di reinventare le nostre vite anche di fronte a una società che prova tutti i giorni ad annichilirci.
Occorre modificare la nostra forma mentis. Pensare come suggerisce Taleb che siamo antifragili e sotto stress siamo capaci di trasformarci aumentando la nostra capacità di rispondere agli eventi. Più che essere relisienti resistendo agli shock e modificando la nostra struttura per riacquistare la forma originaria, si deve essere capaci di fronteggiare l’imprevisto, l’inatteso. «Il resiliente resiste agli shock e rimane lo stesso: l’antifragile migliora».
Scrolliamoci di dosso l’idea che si possa risolvere la fragilità del mondo irrobustendo i punti deboli, cercando di anticipare le catastrofi. Cerchiamo di fronteggiare i nostri terremoti reinventandoci.
Difficile sapere se sia la strada giusta, ma conviene provare, perché Ci meritiamo, come generazione, almeno una possibilità, un’autentica possibilità!
In fondo anche la storia di questo blog e di inKnot, la società che è alle sue spalle, è storia di progetti, di sogni, è voglia di possibilità e cambiamento.
Tonia Zito