Editoria

Ghostwriter: essere o non essere autore

Scritto da Maria

Dietro alcuni libri, e nemmeno pochi, ci sono scrittori fantasma: i ghostwriter che scrivono cose firmate da altri, i rubautori alias specchietti per le allodole o, se si vuole, scrittori-vetrina (simpaticamente vogliamo definirli così?). I ghostwriter vivono in un mondo di fatica alle dipendenze di autori che hanno poco tempo o poca ispirazione per scrivere. Non sempre questi fantasmi della letteratura hanno ben chiaro che cosa devono scrivere e come lo devono scrivere, perché, si sa, gli scrittori-rubautori sono stravaganti ed esigenti a qualsiasi razza appartengano. Sì,  gli scrittori-vetrina si dividono in razze!

Alcuni godono d’una notorietà pregressa, rimediata in Tv, al cinema, nello sport, nella discografia. Altri sono passati alle cronache per un motivo qualsiasi: mondanità o scandali non fa differenza. Oppure sono personaggi in potenza, gente che di sicuro farà parlare di sé.

Tutti però hanno appena firmato un contratto editoriale e sono preoccupati. Loro. I ghostwriter invece sono quasi sempre spaesati. Eppure hanno una certezza: scriveranno un libro. Di solito un’autobiografia, spesso un saggio, in qualche caso perfino un romanzo. C’è solo un problema: non hanno idea di come si faccia o da dove debbano iniziare. Perché?

Perché hanno sempre poco tempo. Di solito sei mesi, e indipendentemente dal fatto che l’Autore (colui che firma) voglia “scrivere” un’agile autobiografia o un volume ponderoso.

Perché impazziscono a star dietro alle pretese dell’Autore, che ignora le difficoltà di muovere un personaggio sulla pagina, la tenuta di un dialogo o l’efficacia d’un giro di frase. Ma non importa.

Perché l’Editore, che paga, è sempre pronto a dire «Se dovesse andar male, noi non ti conosciamo». Sì, perché lui è quello che sa dove va il mercato. Ha sempre e solo una precisa concezione del prodotto che vuol fare e del lancio da imbastire. E quel prodotto lo esige dallo scrittore ombra, mai dall’autore. Durante i lavori in corso, compare ogni tanto per chiedere un resoconto e vedere che cosa sta venendo fuori. Dà un giudizio e dispensa qualche consiglio prima di scomparire fino al controllo successivo.

In mezzo c’è lo scrittore fantasma, imprigionato nel più irregolare e scaleno dei triangoli. Una relazione pericolosa in cui bisogna mediare tra le pretese enormi di chi firma e le esigenze forse semplificanti di chi pubblica.

Il ghostwriting è un lavoro estenuante, in cui si mettono a dura prova attitudini caratteriali e risorse psichiche. Non si lavora se un autore non si fida. Il legame smette subito di essere professionale e assume contorni sfuggenti. Qualcosa che sta tra il confessionale d’una chiesa, il lettino dello psicanalista e l’intimità forzata della galera.

Non esiste un prezzo equo per una prestazione d’opera che cancella una paternità intellettuale. Eppure una retribuzione è prevista. Di solito è un contratto editoriale parallelo a quello sottoscritto dall’autore: con un anticipo e una percentuale sulle vendite.

Detto questo, allora perché fare i ghostwriter? Per campare oppure come investimento, con la speranza che – in caso di successo – l’editore si ricordi dello scrittore ombra e magari del testo che ha nel cassetto. Quasi mai è così. Intanto questi lavoratori fantasma sono a più titolo nella officina editoriale: giornalisti, blogger, editor freelance, redattori e lo abbiamo detto prima, alcuni scrittori da sempre per vocazione, per nascita, per indole.

A tutti loro si chiedono due numeri da prestigiatore:  tirar fuori i libri dal cilindro e essere invisibili dietro una scrivania. Come fosse possibile, come se fosse giusto…

Maria Mancusi

Immagine di royalmia 

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