IL CASO LANDIONA
La vicenda è ormai ben nota, forse troppo nota. A Landiona, piccolo comune della provincia di Novara, la scuola elementare ha iniziato le lezioni del nuovo anno scolastico, martedì 10 settembre, con solo 7 bimbi, 6 dei quali sinti e una italiana. In brevissimo tempo il paese è finito alla ribalta delle cronache nazionali. Perché?
Quasi tutti i genitori del paese hanno deciso di iscrivere, per il nuovo anno, i propri figli alla scuola di Vicolungo, comune non lontano da Landiona. La decisione di tenere aperta la scuola per soli 7 alunni di cui 6 non italiani ha generato malcontento, chiacchiere e critiche, soprattutto ha gettato su questi genitori e su Landiona il sospetto che si tratti di scelte e atteggiamenti razzisti. Le radici della controversia sono lontane nel tempo. Una decina di anni fa, per tenere aperta la scuola del paesino, le famiglie sinti erano state invitate a portare i loro figli a scuola. L’elementare era stata così salvata dalla chiusura.
La notizia, dunque, è servita. Seguiamo il polverone di dichiarazioni, giustificazioni.
IL SINDACO IN CARICA
La prima cittadina di Landiona, Marisa Albertini spiega così la questione: “I bimbi rom iscritti sono 25, ma quelli che frequentano le lezioni sono molti di meno. Gli italiani, se vogliamo definirli così, sono una dozzina. Avevamo tentato di accorpare le classi con quelle di Sillavengo, altro paese della zona, per favorire una maggiore integrazione, ma non è stato possibile”.
«I genitori – schiarisce il primo cittadino – avevano iscritto i propri figli a Vicolungo già nei mesi di maggio e giugno, per i maggiori servizi forniti da questa struttura rispetto a quella presente in paese, dove abbiamo pluriclassi e non c’è la possibilità di un tempo continuato, fondamentale per le famiglie»
IL SINDACO USCENTE
«Quanto è successo – spiega il consigliere comunale ed ex sindaco, Francesco Cavagnino – getta discredito sull’intero paese. I sinti sono stati ospitati nella nostra scuola per 25 anni. Prima ‘servivano’, per consentirci di tenere aperta la scuola e ora non ci importa più di loro? Perché ora è cambiato tutto? I landionesi non sono mai stati razzisti. Così facendo a Landiona restano solo i sinti e la scuola materna. Spiega inoltre che la decisione di trasferire i bambini è stata presa già nel maggio scorso, quando si è tenuto un incontro a cui hanno partecipato i sindaci dei rispettivi comuni insieme ai genitori di tutti gli alunni e al vicario dell’Istituto comprensivo statale “Guido da Biandarate”, che raggruppa le scuole di 10 piccoli paesi situati alla periferia di Novara.
Nel corso della riunione è stato specificato che non tutti i bambini potevano essere trasferiti, a causa del numero limitato dei posti nel plesso scolastico di Vicolungo, e che la preferenza andava data a coloro che avevano la residenza a Landiona, requisito al quale la maggior parte dei bambini sinti non corrispondeva. Così nel primo giorno dell’anno scolastico la scuola era quasi completamente riservata agli allievi rom, tranne una bambina del paese.
GRAZIANA CASTAGNO EX MAESTRA
«Già nel 1995 ci dovemmo confrontare con la logica dei numeri – dice Graziana Castagno Valmacco – il ridotto numero di iscritti avrebbe condannato alla chiusura la scuola. Con Giuseppe Rubin e Rocco Ilaria ci recammo al campo nomadi a ridosso del ponte sul Sesia – dice la maestra Graziana – presentati dal vigile di Ghislarengo. Le famiglie accettarono l’invito confortate dal fatto che l’amministrazione comunale avrebbe contribuito alle spese per la mensa. Da quell’anno scolastico si è avviato un proficuo processo di integrazione. Oltre alla elementare la frequenza si è estesa gradualmente anche alla materna».
I GENITORI ITALIANI
I genitori del paesino interrogati da SkyTg24 hanno spiegato che la loro decisione di trasferire i propri figli era dovuta esclusivamente all’inadeguatezza della scuola di Landiona. Per loro, il razzismo non c’entra, anche perché i loro figli si sono sempre relazionati bene con i bambini nomadi.
LE DICHIARAZIONI DELLA GILDA
È la sezione novarese della Gilda, sindacato insegnanti, a intervenire ora sul caso Landiona e del presunto rifiuto delle famiglie a iscrivere i propri figli in classi con un alto numero di bimbi sinti. «La verità è che non sono troppi gli alunni nomadi che frequentano Landiona, sono troppo pochi e per questo, invece di favorire la nascita di una scuola “di sinti” che peraltro frequentano pochissimo e a singhiozzo, le amministrazioni comunali avrebbero dovuto accordarsi per realizzare le premesse di una frequenza vera e non mortificante di tutti i bambini in obbligo di istruzione» chiarisce il sindacato. Così «la fuga dei bambini non ha fatto altro che rendere evidente una situazione nota in tutta Italia di un’emarginazione didattica dei bambini rom che già si percepiscono e vengono percepiti come diversi dagli altri: senza risorse finanziarie per una vera inclusione – scrive il sindacato – è impossibile che venga garantito ai minori rom un percorso educativo efficace e completo».
Veniamo a qualche riflessione. Quella della scuola elementare di Landiona (Novara) è una storia di razzismo? Forse ideologicamente no, ma di fatto si. Si tratta di una discriminazione subdola, di cui è difficile accorgersi. Di fronte al calo demografico la scuola del piccolo comune ha progressivamente ridotto i servizi offerti, fino ad arrivare a formare delle pluriclassi. Una situazione oggettivamente penalizzante per gli alunni, tanto che i genitori, di fronte alla prospettiva di un impoverimento didattico hanno scelto di iscrivere i bambini alla scuola di Vicolungo. A questo punto si sciorinano altre regole. Mentre i bambini italiani di Landiona sono stati trasferiti senza problemi, quelli (sempre italiani) ma di etnia sinta, non hanno avuto lo stesso trattamento: per loro, in quanto non residenti, il posto non è stato trovato, per questioni legate appunto alla residenza.
Nessuno fra coloro che si sono espressi in merito alle questione ha parlato di razzismo. Non i genitori dei bambini italiani. Non la scuola. Non i sindaci. Per tutti c’è un’altro motivo: “La scuola è piccola”, “se ci fosse la possibilità accoglieremmo tutti”, “la crisi ha ridotto i finanziamenti per l’istruzione”.
Che cosa resta?
Resta che ad apertura di anno scolastico avremmo voluto raccontare un’altra storia. Resta che la scuola rimane e si conferma una grande mancanza per il nostro paese, perché invece di farsi strumento di integrazione culturale diviene luogo di discriminazione, in quanto sprovvista dei mezzi e del personale che garantirebbero un certo percorso educativo sia per gli allievi sia per il tessuto sociale dove essa opera. Resta che a Landiona son rimasti solo i sinti: per loro non si è trovata soluzione e questi bambini dal prossimo anno rischiano di non poter più frequentare la scuola. Ma infondo basta tutelare il proprio orticello. Che importanza hanno quelli che vengono da fuori, i diversi a ogni titolo? Prima gli italiani! Non è forse uno slogan assai di moda nella politica del novarese?
Ma qui non siamo razzisti! Nessuno lo è. Sì, nessuno lo è ideologicamente, perché è un’etichetta che non ci piace vederci addosso, ma di fatto lo siamo, tutti. Fa male stavolta lo sia stata la scuola, da dove dovrebbero partire i sogni e invece si lanciano starli sugli italiani del futuro.
E rimane, a onor del vero un dato incontrovertibile, lo ribadiamo, che un fatto ideologicamente lontano dal razzismo, di fatto dimostri una forte discriminazione, una discriminazione che creerà alunni di serie A e alunni di serie B; cittadini di serie A e cittadini di serie B.
Maria Mancusi