8 marzo 2013: l’ennesima occasione per celebrare la festa della donna. Contenti i fiorai, contenti i pasticceri, contenti gli organizzatori di eventi e serate a tema. È la festa della donna. Ma di quale donna? Quella che lavora negli uffici al fianco degli uomini, senza averne nei fatti, nella sostanza e nell’ombra ancora gli stessi diritti? Quella che riassetta la casa, invisibile, per meriti, alla società e alla sua stessa famiglia? Quella che mette al mondo i figli di un amore che, quando potrà, dimenticherà di essere stato tale e alzerà la sua mano per colpirla a morte? Quelle che scrivono versi, che ballano, che recitano, che dipingono, che studiano per mettere a servizio degli altri la propria intelligenza e che dovranno faticare il doppio per far sì che dietro l’avvenenza sia riconosciuta una capacità? La madre. La casalinga. La figlia. La moglie. L’amante. La collega. Quante maschere per l’essere umano che è l’altra metà del cielo, l’altra metà del mondo, l’altra metà della vita.
Davanti a queste maschere i fantasmi dell’inconscio maschile, i secoli di storia scritta dagli uomini, una storia che di fronte ai movimenti femministi del primo Novecento, che hanno avuto parte attiva nelle lotte sociali portate avanti dai partiti socialisti, ha chinato la testa e ha accettato l’istituzione di una giornata dedicata alla memoria delle conquiste sociali, politiche, economiche delle donne. Conquiste. Già. Eppure una conquista per definizione stessa comporterebbe il possesso di quello che si è conquistato. Soprattutto, chi conquista dovrebbe poi avere il rispetto della controparte a cui ha strappato il possesso di qualche cosa per meriti dimostrati sul campo. E questo non è il caso delle donne. Alle donne gli uomini, per convenienza, hanno concesso il voto, il divorzio, l’aborto, l’abrogazione del matrimonio riparatore. Passano per queste leggi le fasi dell’emancipazione femminile, leggi scritte dagli uomini per uomini forse stanchi di certe convenzioni. Non per le donne, non per il rispetto di una riconosciuta femminilità. Non saremmo qui. Non saremmo a riempire le nostre pagine di cronaca ogni tre giorni con una donna che subisce violenza.
Ancora la nostra aria ha l’odore di Dafne assediata da Apollo, delle Sabine rapite dai Romani, di Lucrezia violata da Tarquinio, di Artemisia stuprata da Agostino (Artemisia Gentileschi e Agostino Tassi, pittori del XVII secolo), di Franca Viola sequestrata e violentata per più giorni da Filippo Melodia, di Donatella Colasanti e Rosaria Lopez sequestrate e torturate da Giovanni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira (episodio tragicamente ricordato come il massacro del Circeo), degli stupri delle donne bosniache tra il 1991 e 1995. Ma soprattutto la nostra storia di italiani ha ancora l’odore di quello che fu definito lo “stupro di Stato”, perpetrato nei confronti di Franca Rame, aggredita il 9 marzo del 1973 da 5 neofascisti, nell’ambito di un’azione studiata dai carabinieri con lo scopo di intimidire la donna che in quegli anni svolgeva attività per “Soccorso rosso” in favore dei carcerati.
La violenza descritta dall’attrice nel 1975 attraverso il monologo “Lo stupro”, racconta il dramma di ieri e purtroppo le tragedie di oggi. Connessioni letterarie vorrebbe allora trovare un suo modo per ricordare le donne, invitando i suoi lettori non solo a partecipare al “Franca Rame project”, che si terrà venerdì 8 marzo – a cura di Dale Zaccaria con la collaborazione di Gualtiero Alunni, di Radio città aperta e di altri movimenti romani, presso la sede del consiglio metropolitano di Roma in via Giolitti 231 – ma anche a condividere sulle proprie bacheche facebook, nel giorno del 9 marzo, affinché la memoria si faccia denuncia, quanto detto da Franca Rame:
Quello che vorrei continuare a dire alle donne, anche dopo la mia morte, è di non perdere mai il rispetto di se stesse, di avere dignità. Sempre…
Franca Rame Project: un momento in cui il teatro sceglie di farsi riflessione, denuncia, progettualità per sostenere le associazioni che operano a tutela delle donne. Ne parliamo con Dale Zaccaria.
Che cos’è e come è nato il “Franca Rame Project 8 marzo”?
Lo spettacolo è nato più di un anno fa e già da tempo è stato portato in vari luoghi e città oltre che a Roma. È stato portato a Genova e in Puglia, a Trani, e sono stati raccolti e donati in queste due occasioni soldi per i centri-antiviolenza, quello di Genova, il centro antiviolenza Mascherona, e a Trani il centro Save. Lo spettacolo io lo definisco uno spettacolo denuncia in quanto è una commistione tra giornalismo d’inchiesta e brani audio e video del teatro di Franca Rame e Dario Fo. Il Franca Rame Project ogni volta è diverso, e questo grazie anche alla ricchissima arte dei Maestri Fo/Rame. C’è attraverso di loro la possibilità di creare ogni volta uno spettacolo nuovo con un abito diverso, ma alla base diciamo che resta sempre la denuncia della violenza sulle donne e in particolare quella compiuta in maniera ignobile su Franca.
Quali sono i tempi dello spettacolo? Vi proponete come obiettivi la denuncia, la memoria storica e la lotta: in che modo?
È uno spettacolo auto-prodotto che riesce a vivere grazie all’impegno di tutte quelle realtà che lo accolgono, da scuole a centri anti-violenza, a locali che possono essere un teatro o un circolo, in questo modo si crea un circuito di persone che ogni volta lavora affinché lo spettacolo possa prendere vita. Ho trovato tanto amore, tanta collaborazione in questo anno. I casi di persone che magari hanno disturbato più per egoismi e piccolezze personali sono stati rari per fortuna. Gli obiettivi sono sia la denuncia, sia la memoria storica che la lotta. Mi spiego meglio: intento dello spettacolo è quello di informare e ricordare, informare soprattutto le nuove generazioni che sono quelle più disinformate rispetto agli anni che vanno dal 1969 al 1980 e che vedono stragi, tentativi di golpe, la cosiddetta strategia della tensione, in questo clima si sviluppò l’atto, lo ripeto ignobile a Franca, con la responsabilità di apparati statali; tenere viva la memoria storica, denunciare attraverso la violenza subita da Franca tutte le violenze sulle donne. Si lavora affinché una verità, un pezzo di verità della storia d’Italia sia resa nota. Non esiste un tempo per questo spettacolo, mi sono detta, finché avrò forza di portarlo avanti, non solo per il grande amore che porto a Franca, ma per una coscienza civile che possa essere sempre più viva e più forte.
Non andrà in scena per la prima volta 8 marzo 2013. Ci sono state altre occasioni per proporre al pubblico questo spettacolo. Qual è stato il feedback ricevuto?
No, è un anno che è, come dire, “in scena”. Le occasioni, come detto sopra sono state varie, anche in luoghi diversi, grazie soprattutto all’impegno delle persone che l’hanno voluto nelle loro città. Il feedback ricevuto è positivo soprattutto da parte dei giovani, e poi succede che durante gli spettacoli mi si avvicinano donne, alla fine, che mi raccontano delle violenze subite, trovano forza e coraggio, e in quel momento capisco quanto sia importante continuare anche per loro.
Verrebbe da chiedersi, venendo da secoli di cultura “androcentrica”, che cosa manchi alle donne. In realtà il quesito è un altro: che cosa manca agli uomini per amare le donne?
Personalmente ritengo che solo i poeti, intendo quelli veri, possano amare profondamente una donna, perché amano la poesia che è donna anche lei. Ma diciamo che l’uomo, il maschile, risente di una cultura cattolica maschilista e macista secolare. Ci sono dei retaggi così atavici e antichi che non si buttano giù in un decennio, ma neanche in un secolo. Ma la cosa più grave e agghiacciante non è cosa manca agli uomini per amare le donne, ma perché tante donne amano uomini che le offendono, tradiscono e umiliano. Ecco, la riflessione da fare è perché le donne non si ribellano. Accettano di subire di tutto. Questo lo trovo intollerabile. Credo che la prima grande responsabilità parta proprio dalle donne, e ancora più grave, anche che le donne sono poco solidali tra loro, una categoria che io definisco “le meschine” ovvero le donne che sono contro se stesse. C’è da lavorare tanto, molto, e ancora. E non solo attraverso forme politiche sociali e culturali, ma attraverso “visioni”. E Franca Rame e Dario Fo insegnano.
La “questione femminile”, l’emancipazione delle donne è solo una virgola nello spazio temporale che unisce l’uomo primitivo a quello d’oggi. È drammaticamente evidente che tanti ancora saranno i sacrifici, i martiri delle donne. In questa ottica quale dovrà essere, a suo parere, il contributo della nostra generazione?
Verità innanzitutto, ricerca della verità e poi senso profondo della giustizia e infine libertà. Dobbiamo esigere una società migliore, giusta, meritocratica. Dobbiamo combattere ogni cultura mafiosa, dobbiamo guardare ai sacrifici di uomini e di donne della nostra storia, come se fossero dei ponti per condurci in un luogo che rappresentino un modello ideale, non dobbiamo perdere mai ideali e sogni, dobbiamo combattere, con la parola, con l’arte, con intelligenza. E dobbiamo riportare le donne, noi donne al centro del mondo, perché lo siamo, siamo creatrici, diamo la vita, gli uomini sono figli nostri, e come generazione dobbiamo lavorare a una cultura del rispetto e dell’amore, soprattutto nei confronti della sfera femminile.
Chiudiamo sempre le nostre interviste con due domande, che ci sembrano ancora più importanti in questo contesto.
La frase che le è piaciuto di più scrivere, leggere, recitare o sentire.
Ce ne sono tante. Ma una che in maniera particolare sento è di una grande poetessa, Alda Merini: “La cattiveria è degli sciocchi, di quelli che non hanno ancora capito che non vivremo in eterno”.
Un messaggio per i lettori di Connessioni letterarie…
Di non perdere mai la poesia, di lottare anche attraverso la scrittura, la lettura, le arti, per un mondo pulito e migliore. E di restare sempre in ascolto dei Maestri, quelli passati, come Pasolini e quelli che ancora abbiamo come Dario Fo e Franca Rame, perché i maestri ci parlano, ci indicano la strada.
Maria Mancusi