Era uscita quella mattina, come faceva da dieci anni. Aveva imboccato la strada che portava alla stazione, percorso i primi metri: sentiva i suoi passi procedere lentamente, quasi i piedi si incollassero all’asfalto. Nebbia e buio pesavano sulla sua pelle e solo il tintinnio del portachiavi che batteva sull’anello al suo anulare destro le ricordava dove stava andando e per quale motivo. Non poteva sopportare che i suoi occhi scivolassero via, liquefacendosi nell’inconsistenza delle parole non dette, che le sue mani abbandonassero ogni cosa fosse stata loro. Bagnata, rimaneva immobile sul binario, mentre sfrecciava il treno su cui non era salita.
Immobile guardava come ipnotizzata il ferro incandescente dei binari; non aveva coscienza del luogo, del motivo per cui si trovava lì, degli altri, di sé.
– Signora, si allontani, sta arrivando un treno.
Non sentiva le urla della gente che guardava nella sua direzione; all’improvviso, delle braccia l’afferrarono portandola di peso su una panchina. Sentiva ora la sua testa avvolta in una bolla di nebbia, il corpo paralizzato, incapace di fare un solo piccolo gesto.
“Poverina, dev’essere disperata “; “Ha tentato di uccidersi”; “Chissà come si sente!”.
I suoni di quelle parole, anche se attutiti, cominciavano ad arrivare alla sua mente e, come in un crescendo, assumevano il loro significato.
Improvvisamente le fu tutto chiaro: quella gente era convinta che lei avesse tentato il suicidio.
Non era così: era arrivata alla stazione perché voleva partire, scappare da quella città per andare il più lontano possibile. Non sapeva ancora dove; era scappata dalla sua casa senza una valigia, con ancora indosso il vestito da sera sotto un normale cappotto; aveva abbandonato la festa che il marito aveva organizzato, nonostante lei si fosse fermamente opposta: non le piacevano le persone che lui era solito invitare; glielo aveva detto mille volte: non erano gli amici che avrebbe voluto; vanesi, disonesti, arroganti, non avevano niente in comune con lei così solare, onesta, semplicemente genuina.
Il marito non voleva sentire ragioni, si ostinava a frequentarli “perché gli servivano”.
Da quando era entrato in politica era diventato traffichino, sleale e sempre pronto ai compromessi… lei non lo riconosceva più; le sembrava ormai di vivere accanto ad un estraneo.
Quei cosiddetti amici avevano avuto il potere di trasformarlo; erano quasi tutti molto ricchi, con le mani in pasta nell’imprenditoria e lui, inizialmente, in qualità di avvocato, svolgeva delle consulenze per alcuni di loro. In seguito divenne il loro consigliere guadagnando sempre di più e assaporando un tenore di vita al quale non era abituato.
Quando gli proposero di entrare in politica, accettò di buon grado, pur sapendo che lo avrebbero usato per i propri loschi affari. Non gli importava di essere diventato un burattino nelle loro mani; si sentiva appagato, contento di quel modo di vivere e di agire.
La moglie lo aveva implorato, aveva pianto, aveva sperato, ma da qualche anno non credeva più che le cose potessero cambiare.
“E’ diventato come loro”…Ormai questo pensiero non le dava tregua; da qui la decisione di lasciarlo.
Mariella Magro