Il 25 novembre si celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
La giornata è stata istituita dalle Nazioni Unite nel 1999 e ha come emblema l’assassinio de la Hermanas Mirabal, tre sorelle massacrate nel 1960 colpevoli di voler cambiare il mondo in cui vivevano opponendosi al regime dittatoriale che ha portato il caos nella Repubblica Dominicana per più di trent’anni.
Una giornata per ricordare tutte quelle donne che subiscono violenza, per sensibilizzare al problema, per ricordare le morti assurde di quelle donne che in nome di un amore malato annientano la propria esistenza.
In Italia e nel mondo sono tantissime sono le iniziative dedicate a questa giornata.
Noi la celebriamo così.
Alle 14 eravamo tutti davanti alla chiesa. Una giornata soleggiata, l’azzurro del cielo che si specchiava nel verde del Tevere, nessuna brezza che ci scomponeva gli abiti. Ci siamo tutti, Elvira. Ci sono Federico e Wally, con i quali hai fatto subito amicizia. Stanno vicino all’ingresso, all’ombra, una vecchietta aggrappata al braccio di un ragazzo dal vestito impeccabile. C’è Angela, la fiorista: ha messo per l’occasione un iris sul bavero della sua giacca. C’è Giovanni Er Caciara, con la sua bambina in braccio: ti farebbe ridere vederlo com’è adesso, con quell’aria da papà responsabile. La bimba ha tre anni ed è appena uscita dalla scuola materna, gli occhi verdi curiosi e le guance fresche come due pesche. Ci sono i tuoi genitori: tuo padre stretto nell’impermeabile beige stringe la mano di tua madre, con i capelli ormai tutti grigi e un sorriso tirato. Ma sempre un sorriso. C’è la professoressa Ferraris: tedesco in terza, quarta, quinta superiore, te la ricordi? Mi ha chiamato lei, appena ha saputo. È ancora una bella donna e sprigiona tutta l’energia che ci aveva affascinato al liceo. C’è anche Linda, la dottoressa del consultorio: non sapevo ci fossi andata, te l’avevo consigliato quando sei tornata, ma pensavo che non mi stessi ascoltando. Visto? Ci siamo tutti.
Quando entriamo la nostra canzone inizia a suonare e io sorrido e piango. Ecco, ho pianto e non volevo farlo. “Make me smile (come up and see me)“, la colonna sonora di tanti momenti felici. E poi in fondo ci sei tu, nel vestito rosa che ti sta benissimo. Volevano chiudere la bara prima della cerimonia, ma abbiamo insistito. E poi tu sembri solo addormentata: sei serena e in un posto bellissimo, ne sono certa. Don Mario è stato breve, ho potuto anche parlare dopo la lettura del Vangelo. Non sono riuscita a dire un granché, veramente. Ti ho augurato buon viaggio, guardando la foto che ti ritraeva sorridente e con i capelli legati in Piazza Santi Apostoli. Alla fine ti abbiamo lasciato andare. Sei partita, ma questa volta sappiamo dove sei andata e non ci perderemo più di vista.
Ti abbiamo seguita fino al Verano e ti abbiamo lasciato un altro mazzo di iris. Gli occhiali neri nascondevano discretamente la commozione, la tristezza, la preghiera negli occhi di tutti. La bimba di Er Caciara ha chiuso e aperto la manina verso la tua foto, in un segno cordiale di saluto.
Così stasera ti posso dire “ciao” anche io, Elvira: fai buon viaggio. Nell’agenda con tutti gli appunti per la tua festa, ho incollato l’articolo di giornale che parlava di te. Chissà, forse un giorno racconterò a mia figlia di che cos’è l’amore, oppure farò prima a dirgli che cosa non è. E allora tirerò fuori quest’agenda e le parlerò di te, di me, di lui. Dell’amicizia vera e dell’amore vero. E anche dell’amore sbagliato, letale, assassino.
Autoscatto dal passato – Caterina Sansoni
La redazione di inKnot Edizioni
Immagine di Marie Esther